Storie nostre

Giampaolo

Vorrei divulgare la lettera che ho inviato ai dottori che mi hanno avuto in cura, è la mia storia di paziente bipolare.
Ho omesso i nomi degli psichiatri e dottori che mi hanno avuto in cura a titolo di riservatezza e ho omesso alcune parti relative a metodi di cura “alternativi” perché il messaggio che vorrei comunicare non è la scelta di una cura “alternativa” specifica poiché potrebbe essere un messaggio fuorviante e pericolo, forse è stata una cura adatta a me ma non generalizzabile.
Il messaggio che che vorrei dare con la mia esperienza è che ognuno di noi pazienti può fare tanto per se stesso più di ogni altra cura, certamente è un percorso che richiede sacrifici, volontà, dedizione, determinazione, ma che , almeno per me, è stato fondamentale perché “ci riappropriamo delle nostre scelte e della nostra vita in modo autonomo”. Non so come spiegarmi ma forse nel contesto della lettera allegata inviata ai miei medici curanti, risulta tutto più chiaro.
Non è quindi il metodo di cura “alternativo”, cioè “senza pasticche” il tema della lettera , che sia Shiatzu, riflessologia, agopuntura, fiori di Bach, campane tibetane , omeopatia …… o chissà cosa non importa, ma è la scelta di cercare un percorso alternativo appropriato a noi stessi, un mettersi in gioco in modo attivo come pazienti.
Ben volentieri mi piacerebbe ascoltare esperienze e pareri di altri.


Lettera inviata ai due psichiatri (professori rinomati nel settore), miei medici curanti fino al 2013 e a un medico piscoanalista-omeopata anch’esso mio medico curante fino al 2012

12 luglio 2017

A voi prof.ssa xxx , prof. yyy e dott. zzz vorrei raccontarvi le mie esperienze degli ultimi 4 anni da vostro ex paziente affinchè con la Vostra professionalità , esperienza e competenza, possiate eventualmente coglierne piccoli spunti di aiuto per i vostri pazienti, che sono i reali destinatari di questa mia lettera.
A fine dicembre 2012 dopo un lungo periodo di “disastri” in vari settori della mia vita, mia moglie mi sottopone un testo che descrive le caratteristiche del bipolare. Sembrava la mia biogafia, sembrava come scritto da chi mi conosce benissimo, quindi immediata visita psichiatrica da prof xxx .
Dopo un colloquio, un questionario e forse un secondo colloquio la diagnosi fu : bipolare 2 , prescrizione farmacologica valproato o litio, non ricordo.
Disturbo psichico ? farmaci per stabilizzarsi, …… ? per me significa = matto : Impossibile,
Cerco un altro specialista , prof yyy : un colloquio ampio e lungo ma stessa diagnosi : bipolare 2, prescrizione Depakin (valproato) ½ primi 4 gg, 1 successivi 6 gg e 1+1/2 con una riga continua che arrivava alla fine del foglio.
“Ma per quanto tempo, dottore ?” fu la mia domanda ingenua,
e la risposta ovvia (per un esperto) e dirompente (per me) : “per sempre, se non si vuole ritrovare a cantare su un pero” (parole che involontariamente mi hanno salvato la vita scuotendo tutte le possibili riserve di orgoglio insite nel genere umano)
Le mie facoltà di discernere, di giudicare, di vedere la vita, le persone, le cose …. Legate a una pasticca ?? Esami del sangue per controllare i parametri fisiologici ?? Le controindicazioni di tali medicinali sulla salute ?? Io che è dal 1985 che mi curo con l’omeopatia per non assumere farmaci : uno schock !!!
Non so se è comune a tutti quelli che hanno un disagio psichico, ma sentirsi privato dell’autonomia di pensiero perché legata a una pasticca, almeno per me era devastante, ci si sente veramente matti, il tutto poi sommato al mio convincimento del danno fisico nel lungo periodo
I temi relativi al disagio psichico non mi erano nuovi : una crisi di ansia-depressione abbastanza di lungo periodo e abbastanza invalidante, anche con fenomeni di psicosi credo, non saprei come catalogarla (la terminologia forse è imprecisa ma sono sicuro saprete tradurla in corretti concetti medici) fu risolta nel 1994-1995 grazie al dott. zzz , mio medico curante omeopata e specializzato in malattie psicosomatiche con cui in quel periodo feci un percorso di psicoanalisi (colloqui settimanali : sogni, analisi stati emotivi, analisi rapporti affettivi, racconti , ………) che abbinato a rimedi omeopatici risolse in 8-10 mesi di terapia il forte disagio di quel periodo.
I trattamenti del dott zzz credo siano stati fondamentali in questi anni .Ho avuto comunque momenti depressivi che però si risolvevano abbastanza velocemente e senza conseguenze invalidanti di lungo periodo. Le fasi iper-up non erano viste da me come un problema, non ne avevo percezione, non avevo consapevolezza di quanto potessero essere dannose e soprattutto di quanto non mi facessero “vivere la mia vita” tenendomi cioè distaccato dal reale, mi consideravo e mi consideravano tutti quelli che mi conoscono solo una persona molto capace, molto intelligente, molto attiva, molto determinata molto sicura di me stesso, (anche a seguito dei risultati che conseguivo), tutto “molto”.
Solo i momenti depressivi erano visti come “malattia” e solo in quei momenti mi rivolgevo al dott zzz
“Ma perché lei lavora così tanto”, mi chiese 15 anni fa il dott zzz : dentro di me “ma che dice ??” , infatti la risposta balbettante fu “perché se si ha un’azienda è d’obbligo”, in realtà non fu una vera risposta tanto che l’eco di quella domanda mi è rimasto per anni, solo oggi infatti risponderei “perché mi sto aggrappando a qualcosa”.
L’esperienza con il dott zzz è stata fondamentale e importante sia perché la sua intelligenza e la sua profondità mi hanno sempre rassicurato facendo emergere temi affettivi e personali all’origine dei disturbi, sia perché mi ha fatto capire la complessità dei temi e proprio la consapevolezza della complessità dei temi mi portava a non accettare che fosse una semplice pasticca a risolvere tutto.
La cosa più naturale quindi è stata quella di tornare dal dott zzz, cosa che ho fatto ma nonostante la stima assoluta non accettavo dentro di me che avesse lasciato che mi “sfracellassi” in preda a uno stato iper fuori controllo. Anche se non fa parte della sua visione psicoanalitica secondo me avrebbe dovuto avvertire già da tempo me e i miei familiari, avrebbe dovuto dire : “per la psichiatria è un bipolare 2 e se gli parte una fase iper rilevante può arrivare a comportamenti dannosi per se stesso e per chi gli sta intorno, per cui teniamolo sotto controllo e in momenti particolari caso mai un po’ di valproato ……… , si non è omeopatia ma in casi estremi ….. un po’ di valproato non ha mai ammazzato nessuno”. (Fra l’altro il dott zzz è un medico omeopata non estremista, in vari casi ha anche contemplato medicinali allopatici)
La stima nel dott zzz è arrivata anche a farmi pensare che proprio “sfracellarmi” , cioè le conseguenze estreme del mio stato iper, dovevano essere la mia cura, forse lo è anche stata ma i danni provocati al mio ambiente di vita (lavoro e famiglia) erano tali che non potevo accettare questa interpretazione. Da uno “sfracella mento” del genere non se ne può neanche più uscire
Poiché il disturbo psichico interessa la sfera del discernere, della capacità di giudizio, della capacità di scelta, è difficile sia per se stessi sia per chi ci sta intorno giustificare lo “sfracella mento”come la conseguenza di una malattia quindi ci colpevolizziamo e ci colpevolizzano a vita comunque (e poi sempre ammesso che “lo sfracella mento” lasci la possibilità di una seconda chance, cosa che non è così scontata)
Se un diabetico ha una crisi ipoglicemica e perde il controllo dell’auto e si sfracella è un evento imponderabile ma se una persona in una fase di disturbo psichico ha la percezione alterata, perde il senso del pericolo, si sente iper, e ha una guida spericolata e non riesce a staccare il piede dall’accelleratore e si sfracella si colpevolizzerà e lo colpevolizzeranno, tutti rimarranno sempre convinti che poteva scegliere.
Ero quindi senza un’alternativa di cura e in una condizione psichica tale per cui per mia moglie, mia figlia, i miei genitori e per me , non potevo rifiutare di curarmi ; quindi da gennaio 2013 iniziai la cura di valproato, altri colloqui intermedi per ricalibrare i dosaggi, un interruzione improvvisa con una conseguenza disastrosa e un’ immediata ripresa della cura di valproato dopo un ulteriore colloquio sempre con il prof yyy
Un matto bipolare ingegnere cosa poteva fare se non buttarsi in uno studio personale e analitico del problema ? abbandonare ogni lettura e ogni teoria e studiare dal vivo la cosa : analizzare e trascrivere ogni mio stato giornaliero, registrare eventi, stati d’animo, comportamenti, pensieri, provare, registrare i risultati delle prove, pratica, trascrivere, annotare, osservare, riprovare ……….. questo ho fatto fino ad oggi.
L’unico punto di partenza per addentrarmi in questo caos era la visione che mi ero fatta “dell’origine” dei miei disturbi, disturbi che per me fino a quel momento erano “solo” depressione e fenomeni di ansia e-o punte di psicosi , non so se termine medico corretto :
sintetizzando mi potrei definire “senza radici”, cioè legami affettivi saldi e sicuri che per vari motivi non ho avuto. “Senza radici” è così che mi sento quando sono in balia dei miei stati emotivi per cui ho necessità di “aggrapparmi a qualsiasi cosa”, ogni mia attività deve essere iper affinchè rappresenti per me un punto fermo a cominciare dal lavoro su cui ho riversato tutte le mie energie e con una combinazione tra capacità e fortuna ho iniziato presto ad ottenere risultati brillanti con un conseguente autoalimentarsi del mio stato iper
Che la mia infanzia affettiva non sia stata fonte di radici affettive salde e sicure è un dato di fatto come forse è un dato di fatto che geneticamente e fisiologicamente ho una predisposizione per tali disturbi psichici dato che mia madre è anch’essa forse bipolare , (oggi la definirei così),
Fortunatamente o sfortunatamente mia madre non ha mai avuto stati iper “da sfracellamento”, , ipomanicacali degeneranti, da cura psichiatrica. Ha sofferto di depressione nel passato poi è passata in uno stato “perennemente accellerato” : carica qualsiasi situazione di un eccesso di emotività , di energia non riuscendo ad avere relazioni affettive normali, non riuscendo ad affrontare le situazioni di vita normale in modo sereno, ma sempre tutto sotto una cappa di angoscia
Che mi ritrovi in questa situazione per la pazzia di mia madre o per la pazzia dei miei neuroni poco importa, oggi sono così e l’analisi deve partire da come sono oggi quindi come prima cosa ho abbandonato qualsiasi sforzo interpretativo di perché sono così, cosa che invece ho fatto in questi anni, sono così punto e basta.
Per prima cosa mi sono chiesto che cosa significasse per me : Disturbo psichico :
sono in uno stato di disturbo psichico
quando mi si presentano uno dei due o entrambi i seguenti aspetti :
1. sofferenza in assenza di reali motivazioni esterne contingenti
2. comportamenti dannosi per me stesso e per gli altri.

(e poi aggiungerei un altro punto che però non mi era chiaro all’inizio per cui tutte le mie osservazioni si sono concentrate ad oggi solo su 1 e 2 mentre oggi aggiungerei un punto 3. : sono in uno stato latente di disturbo psichico quando i pensieri sono prigionieri degli stati emotivi sempre e comunque in ogni situazione anche nelle fasi normali non depressive e non iper-up)
Individuare uno o entrambi i punti 1 e 2 significa registrare uno stato di disturbo psichico (il punto 3 come ho detto all’inizio per me non era chiaro, perché fino ad oggi ho vissuto in quello stato, per me era “la normalità”, quindi è stata più una conclusione e non un oggetto dell’analisi del mio stato di questi anni)
è semplice registrare il primo punto ma è più difficile per il secondo perché il comportamento è influenzato anche dall’educazione della persona, dalla sua storia, dalla sua intelligenza, cultura, cioè da altri fattori …… e magari un comportamento condizionato da altri fattori ha un risultato non dannoso per se stessi e per gli altri perché mediato ,
Quindi per l’analisi dei miei comportamenti più che focalizzare su cosa facessi ho posto l’attenzione sugli impulsi che mi portavano ad agire e su come percepivo cosa stessi facendo,
L’effettivo risultato del comportamento che fosse configurabile solo “strano” o “da matti” ha poca importanza perché come detto entrano in gioco altri fattori che “inquinano il risultato finale”, l’importante quindi per la mia indagine era l’impulso che spinge a quel comportamento.
Ho iniziato a registrarmi scrivendo quasi giorno per giorno
A luglio 2013 su un traghetto per la sardegna incontro la dott.ssa jjj (la persona che insieme alla dott.ssa kkk mi ha salvato la vita nel vero senso della parola cioè come un riappropriarsi della propria vita, grazie anche all’affetto di mia moglie, mia figlia, mio padre e soprattutto grazie alla forza di volontà-determinazione e orgoglio che mi ha trasmesso mia madre)
Seduta casualmente su un divanetto accanto a me che stavo leggendo di bipolari, iniziamo a parlare per quasi tutta la traversata e come succede spesso è proprio a uno sconosciuto che riusciamo ad aprirci totalmente perché è come un parlare a noi stessi,
la dott.ssa jjj capisce la mia determinazione a cercare una via alternativa al valporato e mi consiglia un percorso di rrrrrrrrrrrrrrr con la dott.ssa kkk a ttttttttttttt
fare periodicamente 500 km per …………………………… ?? perché consigliato da una sconosciuta incontrata su un traghetto ?? tanto sono matto , quindi , chi mi sta intorno mi lascia fare come una delle tante “up” in cui mi sono buttato (“up” nel gergo introdotto in famiglia legato al mio disturbo potrebbe essere tradotto con “cazzate”)
I pensieri prigionieri delle emozioni fanno danni ma a volte aiutano e quella è stata una di quelle volte . Quando leggiamo biografie di bipolari creativi credo che sia frutto proprio delle emozioni che penetrano in modo violento nei nostri pensieri portando a sintesi di risultati che oltre alla logica sfruttano tante altre informazioni portate dalle emozioni.
La dott.ssa jjj “mi aveva emozionato”, era stata molto attenta alle mie parole, la percepivo intelligente e soprattutto “la sentivo” una persona predisposta ad aiutare gli altri per cui al di là di ogni logica mi fidai totalmente del suo consiglio.
La dott.ssa kkk inizia i trattamenti a settembre 2013 , inizialmente continuavo il valproato, diminuendo pian piano i dosaggi fino ad arrivare a gennaio 2014 quando ho totalmente smesso l’uso del valproato
Ogni incontro mensile con la dott.ssa kkk (inizialmente ogni due settimane) è fatto di una mia sintesi del mio stato del periodo trascorso dall’ultima seduta, mi …………………., mi ………………..e …….. non posso che ringraziarla a vita.
Parallelamente continuavo a “registrare” ogni mio stato d’animo, ogni mia scelta, ogni mio comportamento proprio perché essendo una cura “alternativa” ne cercavo quotidianamente un riscontro e anche per dare alla dott.ssa tutti gli elementi possibili “per registrare il mio assetto” nella seduta successiva.
In questi anni ho costantemente monitorato il mio stato d’animo quotidiano, come misurarsi la febbre due volte al giorno, cercando di cogliere tutti i segnali verso fasi depressive o fasi “up” per cercare di capire.
Poiché le fasi iper-up sono state per me le più distruttive, dannose e inconsapevoli ho cercato di analizzarle,
quali sono gli elementi caratteristici di una fase iper-up ?
Ho cercato i dati salienti del nascere di una fase iper-up : pensieri che iniziano a farsi veloci, svegliarsi presto con molta energia, parlare più velocemente, saltare nella mente da un argomento all’altro, idealizzare situazioni “fantasiose”, imprese “impossibili”, cambiamenti di vita come risolutori, una sensazione di distrazione totale più che gioia ….. la classica biografia che si legge sui libri, tutto vero e riscontrato.
Mi sono fatto una specie di “scala di intensità di accelerazione”, cioè dal semplice volo di fantasia o creatività innocua alla fase ipomanicale tipo “beautiful minds”, come un conta kilometri . E’ possibile come registrare proprio una velocità dentro di me , quasi a voler individuare “la velocità limite consentita per ogni strada della nostra vita”.
Il difficile però è cogliere il momento preciso in cui iniziamo ad accelerare
Per le “accelerazioni” direi più lente, graduali, gestibili, entro i limiti, quelle più innocue per intendersi, ho registrato che si verificano ad esempio se lavoro assiduamente per oltre 2 giorni facendo tante cose, incontrando tante persone, facendo tanti spostamenti per cui mi sono abituato a interrompere il ritmo lavorativo ogni 2 giorni, ideale sarebbe andare in ferie ma non potendo mi organizzo con attività più solitarie, riflessive, statiche, e soprattutto con tanto sport , almeno 5 allenamenti la settimana. Ho riscontrato accelerazioni anche legate all’alimentazione : se mangio tanta carne per più giorni ho registrato una sensibile accelerazione. Ho registrato accelerazioni anche se frequento “persone accelerate”, troppo attive , per non parlare di bipolari
Ma come ho detto queste sono accelerazioni innocue, gestibili, da monitorare perché se prolungate anch’esse portano “a superare i limiti di velocità”, tali accelerazioni sono anche positive perché sono anche fasi creative, creatività di cui però ora ho abbastanza timore. Per essere sicuro che sia creatività positiva mi registro su un quaderno idee, disegni inerenti al mio lavoro, programmi lavorativi e poi le lascio li, anche per settimane e riprendendole in seguito, le rielaboro , le rilascio lì per un altro po’ e poi dopo prendo decisioni in merito : allungo i tempi , prima fra avere “un’intuizione” e metterla in atto passavano dai 2 ai 3 secondi ma ne ho riscontrato la pericolosità perché porta a un senso di infallibilità totalmente pericoloso.
Direi che mi sono strutturato con un lasciar decantare gli spunti creativi, registrarli, “averne anche un po’ paura” e riverificarli in vari giorni seguenti e in vari contesti emotivi
Ma è l’accellerazione rapida, fulminea e oltre i limiti di velocità, quella pericolosa, dannosa per se stessi e per gli altri, quella che ti porta a “guardare un pero per cantarci sopra come soluzione di tutti i tuoi mali”, è quella la fase iper distruttiva, ma quando è che si innesca ??
Ho cercato di cogliere il momento del nascere di una fase iper di quel tipo, appena ne coglievo il nascere, ho guardato cos’altro mi succedeva e la mia risposta è stata : la depressione o meglio la paura della depressione.
Quindi è la paura della depressione che innesca l’iper-up violento ? Si
E’ quando si sente in lontananza avvicinarsi il mostro della depressione che inconsciamente “alziamo la testa per aggrapparci alla prima nuvola che passa per distrarci, per scacciare per non farsi prendere dalla depressione”, una “nuvola qualsiasi” che può essere da un’impresa lavorativa “impossibile” a “abbandonare tutto per mettersi a suonare la batteria”, “o correre dietro alla prima gonna sculettante idealizzandoci sopra effetti risolutori ai nostri mali”, cioè aggrapparsi alla prima nuvola che passa credendo che ci possa salvare dal mostro della depressione.
Quando iniziamo a percepire quel morso alla gola, invece di abbassare la testa verso il buio profondo la alziamo velocemente per cercare qualcosa cui aggrapparsi
E proprio ora mentre scrivo mi riemergere un’altra frase del dott zzz per anni rimasta a me poco chiara : “anche un coniglio davanti alla lama del macellaio che lo sta per sgozzare ha i parametri fisiologici sballati tanto che avrebbe bisogno di valporato”, anche in quell’occasione mi suscitò un “che dice ??” ma sempre per la stima che ho mi è rimasta come un eco che forse solo ora la inquadro in questo contesto.
Almeno per quanto ho registrato su di me le fasi up non sono altro che fughe dal terrore della sofferenza delle fasi depressive : inconsciamente è come dire a se stessi : “da tanto so quanto si sta male in fase depressiva, mi sparo la prima up che mi passa , mi ci attacco come se fosse l’unico scopo della vita così che mi distoglie dal buio profondo depressivo”.
Quindi anche se per me la fase iper-up è stata quella più dannosa devo affrontare il tema depressivo perché è da li che nasce tutto.
La depressione non è per me un tema nuovo quindi cosa di diverso devo cercare nella depressione ??
Mi sono detto : è la paura della depressione che scatena l’iper-up,
quindi per non aver paura devo “depotenziarla”,
non mi devo accanire a cercare di sconfiggere la depressione se no al contrario “ne potenzio la paura”.
Cosa fare quindi ? cosa cercare in me in quegli stati ?
Negli stati depressivi che mi sono capitati in questi anni ho provato a scomporre i vari aspetti della depressione e a cercare, provare e riprovare modi di “depotenziamento”per ogni aspetto così da eliminare la paura,
Per cui in ogni mio stato depressivo ho trascritto tutti gli aspetti caratterizzanti che individuavo
Quando si scatenano i momenti depressivi ?
Fondamentalmente, almeno per me ho riscontrato :
· nei mesi di cambio di stagione ottobre, aprile
· quando il clima improvvisamente ha giornate umide e ancor più se umide e ventose con un cambio improvviso (mi sono ritrovato ad andare a letto che stavo bene , ad alzarmi in uno stato fortemente depressivo e uscendo accorgermi che il clima era cambiato improvvisamente)
· se per vari motivi per vari giorni sto in casa-ufficio, ambienti chiusi e non esco , non vado al mare, o in montagna o comunque nella natura, fuori , al sole
· se bevo vino , oggi cerco di bere solo se sono a qualche cena e non più di 2-3 bicchieri, e pensare che mi piace e prima ne bevevo , anche una bottiglia, ma ho riscontrato che il giorno successivo iniziavo ad avere qualche accenno depressivo, non forte e immediato , travolgente come nei primi due casi legati al clima , ma diciamo un “avvio più lento” che però mi portava magari a bere ancora, alimentando quindi un circolo bere-stimoli depressivi-bere-aumento stimoli depressivi (sto facendo anche delle considerazioni sull’assenza di consumo di formaggi e latticini, ma non ne ho ancora sufficienti informazioni, solo delle supposizioni perché non ne ho fatto un’esperienza ampia)
· improvvisamente, anche senza uno degli elementi di cui sopra e senza evidenti cause di vita (lavoro, cambiamenti, famiglia, …….), i casi improvvisi senza uno degli elementi di cui sopra sono stati molto rari ma ce ne sono stati,

quindi fondamentalmente l’innesco è “casuale”, esterno a me stesso o meglio fisiologico direi, non è legato a nessun tema esistenziale, logico, di pensiero, di vita o altro. Ci sono stati casi di vita che “avrebbero meritato una logica depressione” ma non c’è stata, per cui le mie registrazioni sull’innesco della depressione propendono sulla casualità o meglio su aspetti fisiologici
Cambiamenti importanti nella mia vita, eventi significativi hanno inciso si sul mio stato d’animo ma forse direi più scatenandomi delle up quasi come se mi dicessi :”cazzo ora con questa cosa che mi sta capitando chissà che depressione mi prende , spariamoci una super up” .
In effetti la fase più acuta e grave , il suddetto “sfracella mento” del 2012 è coinciso con la crisi della mia azienda già a me consapevole almeno dal 2010-2011, che essendo “la roccia cui mi ero aggrappato” inconsciamente per me significava “sprofondare in un burrone depressivo”
Credo che il meccanismo in me semplice e inconsapevole sia stato : “ora con questa crisi del mercato la tua azienda chiude (cosa che infatti poi è avvenuta) tu perdi la roccia cui ti sei appeso e “muori” cadendo in un burrone depressivo senza fine, per cui sparati in una super-up, guarda in alto, aggrappati alla prima nuvola così forse ti salvi” ….. e da lì “lo sfracella mento” proporzionale se si vuole alla paura dell’entità depressiva cui ero a rischio per come si stavano sviluppando gli eventi.
Quindi volendo limitarci alla fase depressiva direi che l’innesco è casuale-fisiologico,
quanto dura ? 3, 5, 10, 15 anche 20 gg non ho avuto esperienza di periodi più lunghi in questi anni in cui ho registrato tutto, forse anche perché anzi sicuramente perché ogni 30 gg circa avevo l’appuntamento di rrrrrrrrrrrrrrrrrrrr con la dott.ssa kkk quindi non ho mai superato periodi oltre i 30 gg e comunque spesso è scomparsa anche senza seduta di rrrrrrrrrrrrrrrr, così improvvisamente nel solito modo con cui improvvisamente si è presentata,
Torniamo all’analisi che ho fatto degli elementi che caratterizzano i miei stati depressivi per “trovarne un depotenziamento” che elimini così la paura della depressione :


1) Sofferenza, blocco alla gola, mancanza di energia ad agire, senso di disperazione legato a un senso di non speranza, “a un non senso”


2) Concettualizzazione della sofferenza cioè se abbiamo una ferita a un ginocchio e soffriamo per quella non facciamo riflessioni sulla nostra vita, sulle nostre relazioni, …… è una ferita e punto, mentre la sofferenza depressiva è legata al discernere, al pensiero , alla nostra visione del mondo, a come è impostata la nostra vita e ciò ci inganna, concettualizziamo questa sofferenza
E’ il problema della malattia psichica, interagisce con il discernere, con il saper scegliere : se vediamo uno che zoppica non gli diciamo “come cammini male, cammina a modo !!” cerchiamo di capire se è un problema al ginocchio o alla caviglia , non lo interpretiamo come una scelta di voler camminare zoppicando, se uno invece ha comportamenti non normali sia se stesso sia chi gli sta intorno : “ma che fai ? devi fare così !! …..”.


3) Richiesta d’aiuto inespressa : ci blocchiamo e basta, cosa dovremmo dire :”sto male di nulla ?? ho un morso alla gola immaginario ma che mi fa disperare ??” , inventarci tragedie future o futuribili per giustificare la nostra sofferenza ?? nulla silenzio, stiamo fermi magari sul divano e ci prendiamo anche un “dai che palle sempre lì fermo !! mai che si faccia qualcosa” per cui una sofferenza invisibile agli altri, invisibile perché inespressa e invisibile perché di fatto è proprio invisibile. Nella fase depressiva vorremmo essere aiutati ma mentre se ci bruciano i vestiti su un ponte tutti accorrono perché capiscono che ci butteremmo nel fiume pur di spengere l’incendio, se passiamo su un ponte disperati depressi, pronti a buttarci di sotto pur di metter fine alle sofferenze, nessuno se ne accorge,

Avendo chiarito e registrato questi aspetti, ho provato a cercare un approccio per depotenziarli per eliminare la paura della depressione perché per me sono dannose le fasi iper-up che si innescano per la paura della depressione , cercavo cioè un mio metodo di affrontare “la malattia” che accompagnasse questo periodo di cura con rrrrrrrrrrrrrrrrrr che iniziava a stabilizzarmi ma ovviamente inizialmente non mi rendeva immune da stati depressivi o “accelerazioni, mini up”.
Quindi:
La sofferenza difficilmente è depotenziabile, si soffre e punto.
Ma la sofferenza psichica è “travolgente” (nessuno si è buttato da un ponte per un forte dolore a un ginocchio, ma per uno stato depressivo si) perché c’è l’elemento della “non speranza”, se ho un dolore tremendo a un ginocchio, al fegato, alla pancia, lo sopporto perché ho speranza : penso che andrò all’ospedale , penso che qualcuno mi opererà e che quindi poi passerà questo dolore …. Quindi lo sopporto. La sofferenza psichica poiché intacca la sfera del pensiero, della visione dell’esterno, dell’interpretazione si differenzia dalle sofferenze fisiche,
Quando si soffre in uno stato depressivo, tutto è nero, tutto è doloroso e inconsapevolmente diamo realtà ai nostri pensieri, proiettiamo il nostro stato d’essere sulle cose esterne.
Non so come spiegarmi, ma mi sono detto che se mi tolgo il tema interpretativo del reale mentre sono in fase depressiva allora ne “depotenzio” la sofferenza perché ne annullo o riduco l’aspetto della “non speranza”.
Ho cercato di averne consapevolezza e ho provato ad affrontare quei momenti come se avessi un’influenza, dura 7 giorni, ? 15 giorni come una polmonite ? sono inabile al lavoro , alle relazioni, alla vita per 7 o 15 giorni ? che problema c’è ? ci sono malattie che ti tengono immobile a letto per periodi molto più lunghi. Non concettualizzare la depressione, riportarla a un fenomeno fisiologico.
Ha origine dalla nostra infanzia ? da una madre anaffettiva ? da un padre … ?? da un lutto ?? ok tutto giusto per i medici che cercano di comprendermi ma ora in questo momento che sto male : ma chi se ne frega !!! ora in questo momento è solo fisiologia, non va caricata di significati e concetti , va depotenziata, se gli tolgo la parte concettuale gli tolgo la parte della “non speranza” e diventa una malattia come le altre, una malattia cioè di cui poter dire che “poi passa”.
Certamente la fase depressiva è dolorosa, è invalidante. Si deve cercare di uscirne il prima possibile affinchè non si cronicizzi , affinchè “il poi passa” non sia troppo lungo, proprio come l’influenza, prendiamo l’aspirina, stiamo attenti che non diventi polmonite ma non deve essere vista come una tragedia assoluta se no incentiva tutti i meccanismi di up. Se percepisco la depressione come un periodo momentaneo di inabilità, un periodo che fra l’altro mi porta a contatto forse anche con la parte più sensibile di me stesso non rappresenta più il mostro che non può essere sconfitto, ma una compagna, da frequentare il meno possibile ma senza paura.
Ecco abituarsi a non avere paura delle fasi depressive, accettarle, viverle, starci dentro, sfruttarne gli aspetti postivi come la presa di contatto con la parte più intima di noi .
In questi anni ho cercato, provato, riprovato, registrato soluzioni che mi aiutassero a uscirne il prima possibile da questi stati depressivi, sia quelli lievi, sia quelli più gravi, tutto ovviamente accompagnato sempre da rrrrrrrrrrrrrrr mensile.
Ecco per uscirne il prima possibile ho provato che hanno effetti molto positivi :


· sport
· non chiedere-esigere “aiuto affettivo” che tanto non arriverà perché è una sofferenza invisibile ma dare affetto
· dedicarsi a ciò che per noi è significante per la nostra vita

Almeno per me , ho sperimentato che lo sport è fondamentale, e di ciò ne ho certezza. (di tutto quello che ho scritto forse è solo un’esperienza personale e non so quanto generalizzabile ma sugli effetti dello sport posso garantirvene gli effetti “meccanici fisiologici” sia in fasi iper sia in fasi depressive, sarebbe interessante approfondirlo in modo significativo e “scientifico” perché ovviamente io non sono un campione rappresentativo))
Casualmente e per passione ho sempre fatto molto sport sempre e questo forse è quello che casualmente nel passato ha limitato le mie fasi depressive sia come numero di eventi sia come durata in giorni. Ho praticato di tutto per passione e posso sostenere che non tutti gli sport hanno il solito grado di beneficio : per uscire da stati depressivi gli sport fondamentali sono quelli di “lunga durata” , anche bassa intensità ma lunga durata e meglio se all’aperto : corsa, ciclismo e soprattutto il nuoto. Si il nuoto l’ho scoperto e sperimentato soprattutto negli ultimi anni e posso garantirvi di essere entrato in acqua veramente disperato (roba da lacrime negli occhialini mentre iniziavo a nuotare e con le prime bracciate frutto della sola forza di volontà) ed esserne uscito sereno e positivo dopo un’ora minimo di nuoto ininterrotto, senza pause, anche bassa intensità ma in modo continuo e ininterrotto : fenomeno depressivo scomparso come per magia , e in modo continuativo cioè non qualche ora e poi si ripresenta ma proprio un distacco , un termine della fase depressiva.
Certamente, lo sport , ma come si fa a portare a fare sport uno in fase depressiva che neanche si alzerebbe dal letto ? facendo diventare lo sport un’abitudine di vita costante, come prendere una pasticca tutti i giorni “per non cantare su un pero”, fare sport almeno 4, meglio 5 volte a settimana (a seconda della gravità, proprio come le pasticche). Quando diventa parte dei nostri meccanismi di vita allora riusciamo a trascinarci a fare sport anche in fasi depressive, ci trasciniamo , iniziamo i primi movimenti veramente solo con la forza di volontà ma poi ci attiviamo, a volte stiamo bene 7-10 ore e poi ritorniamo in fasi depressive, poi torniamo a fare sport e ……….. insistendo magari aumentando la frequenza degli allenamenti ci stabilizziamo fuori dalla depressione.
Il nuoto continuativo e di lunga durata da 1h a 1h.30 e soprattutto in mare ha effetti riscontrati più volte veramente dirompenti e risolutivi, lo ripeto perché mi è capitato in due fasi acute e sono uscito dall’acqua che come per magia era passato tutto, scomparsa la depressione, quel groppo alla gola con senso di disperazione, quella sofferenza senza perché erano diventate solo un ricordo (e tutto ciò in modo stabile non passeggero solo per qualche ora).
Anche lo yoga , pranayama, meditazione portano notevoli benefici ma proprio perché potenti sono pericolosi perché i corsi anche se fatti da insegnanti professionisti non sono individuali quindi in certi stati emotivi avremmo bisogno di alcune posture di yoga ma a volte il corso di quella sera è strutturato su altre posture che possono avere effetti totalmente opposti a cosa noi ne avremmo bisogno in quel momento per cui ne ho avuto una lunga esperienza ma gli effetti direi non sono stati sempre positivi credo proprio per tale motivo.
L’altro aspetto che ho riscontrato aiuta nelle fasi depressive è l’aiuto di chi ci sta intorno ma ribaltando la cosa.
La sofferenza è invisibile, nessuno se ne accorge, se ci tagliamo un dito tutti accorrono , se siamo disperati, fermi, immobili nessuno neanche ci vede : l’unico che mi dava sollievo era il cane che , non so se percepisse la sofferenza , ma mi si addormentava accanto. Ho provato quindi, con fatica che in quelle fasi se invece di chiedere o meglio pretendere aiuto (perché chiedere non lo chiediamo) come dietro a un vetro opaco (poiché nessuno vede la nostra sofferenza) apriamo la nostra porta e con fatica ma siamo noi che cerchiamo di portare affetto verso chi ci circonda e ci vuole bene, l’affettività viene ricambiata, e ci aiuta. Sentiamo pian piano sciogliere quel groppo alla gola, è l’aiuto che stiamo chiedendo e che invece ci viene dato solo perché siamo noi ad aprirci, aprire la nostra affettività in quei momenti invece che pretendere affettività, anche solo piccoli gesti,
Dare un significato alla propria vita, questo mi ha aiutato molto nei momenti depressivi per uscirne il prima possibile : un significato qualsiasi, affettivo , lavorativo come passione e non come “qualcosa cui aggrapparsi”, un significato. Cercare come siamo , quali sono i nostri valori di riferimento che ci fanno stare bene : gli affetti familiari, il lavoro come passione ed espressione della propria creatività, le amicizie e le relazioni, ….. ognuno ha i suoi, e anch’essi aiutano nelle fasi depressive a togliere quell’aspetto “di non speranza”, “di non senso” riportando la depressione a un livello di “normale malattia fisica”
Altre piccole cose che aiuterebbero sono le amicizie, le relazioni, avere delle persone accanto dinamiche esse stesse curiose, aperte a varie attività, aperte ad accogliere amici, gente, distrazioni, aperte a praticare sport, non perché ciò eviti la depressione che abbiamo visto è fisiologica ma perché a volte la “staticità di vita” può essere confusa con l’anticamera della depressione ,
Infatti in situazioni del genere , di staticità-routine, mi sono reso conto che “stavo accellerando” e le ho chiamate le cosi’ dette “false partenze”, cioè quelle accelerazioni per paura di una depressione che invece era solo “staticità di vita” scambiata erroneamente per l’anticamera della depressione .
Ho imparato che ho necessità di un piccolo ondeggiare per non innescare le “false partenze”, facile se chi ci sta intorno ci stimola in ciò ma anche da soli va cercato un ondeggiare innocuo e non nocivo per togliere quell’aspetto a volte di staticità alla routine quotidiana per evitare che sia letta come anticamera alla depressione (amicizie, lavoro come creatività, curiosità , interessi, hobby, …..)
Sconfiggere la paura della depressione, per me ad oggi è l’elemento fondamentale contro l’innesco delle fasi iper-up, quelle “da canto sul pero”
Oggi grazie a rrrrrrrrrrrrrrrrrrrr unito a questo percorso di consapevolezza, oggi giugno 2017 posso sentirmi di dire che “mi sento guarito”
Non perché è dal 2014 che non prendo il valproato e “non ho ancora cantato su un pero” o non mi sono suicidato in preda a una crisi depressiva,
ma perché non mi sento aggredito dalle emozioni, prigioniero di esse, non che non me ne freghi nulla di niente, non so spiegarmi, ma affronto le cose in modo “non partecipativo emotivamente” : e credo che siano decenni che non provavo questa sensazione, non ne ho un ricordo, cioè anche in fasi stabili ogni parola o evento era per me sovraccarico di emotività, era vissuto o come azione ostile nei miei confronti o se positivo, era idealizzato e quindi riversavo in esso emotività fuori misura,
Ora sento un’emotività depotenziata rispetto a come ero abituato , quindi normale, è come riappropriarsi della propria vita, difficile da spiegare, ma per me ancor più chiara ed evidente perché riscontro in mia madre invece questa perenne emotività che sovraccarica ogni suo pensiero, ogni sua azione, cosa che prima notavo molto meno perché io stesso ero come lei, quindi in sintonia
Sentirmi guarito non significa credere che non avrò più fenomeni alterati, sarebbe come dire che non ci ammaleremo più di influenza ; ma sentirmi guarito è avere consapevolezza che saranno “solo influenze più o meno lunghe”
Sentirmi guarito è non avere più paura delle fasi depressive, anzi possono essere anche viste come momenti di contatto con il nostro “se” più profondo e intimo
Sentirmi guarito è anche sentirmi sereno nella cura della dott.ssa kkk
Sentirmi guarito è riconoscere le “accelerazioni” e “le false partenze”
Sentirmi guarito è sentire la necessità di adottare uno stile di vita adeguato a come sono : dall’importanza dello sport alle relazioni sociali agli affetti, al lavoro come elementi significanti della propria esistenza
Sicuramente tutto è grazie al percorso di rrrrrrrrrrrrrrrrr della dott.ssa kkk
Fare una seduta di rrrrrrrrrrrrrrrrr una volta al mese certamente è un intervento fisiologico (oscuro per me per ignoranza sul tema ma efficace di fatto) ma non è paragonabile a prendere una pasticca tutti i giorni,
Non assumo nulla di estraneo a me stesso per modificare i miei pensieri,
Nessun elemento chimico esterno come il valporato incide sulla mia vita,
Certo la conclusione di questa lettera potrebbe essere : “questo è proprio matto , ma guarda che fatica ha fatto quando gli sarebbe bastato prendere una pasticca tutti i giorni e si risparmiava sofferenze, studi, analisi, prove, viaggi a tttttttttt ……… è proprio matto”
Ammesso che anche 4 anni anni di valporato mi avessero portato ai soliti risultati di oggi, (il che è tutto da dimostrare, sicuramente non sarei salito su un pero a cantare ma non è detto che una cura così mi avrebbe portato a essere come mi sento ora),
Ammesso anche che fisicamente non vi siano controindicazioni di nessun tipo ad assumere dosi costanti di valproato
almeno per me vivere senza che i miei stati d’animo-pensieri-azioni dipendano da una pasticca mi fa sentire me stesso, non mi fa sentire matto, non mi fa sentire non adeguato ………….
È la solita differenza che c’è tra
zoppicare e mettersi un plantare (sono sempre i nostri piedi che camminano) e
zoppicare e sostituirsi un piede con una protesi artificiale per poter camminare, non è la solita cosa, non cammineremmo con i nostri piedi ma con un piede artificiale, cioè avremmo un handicap, saremmo degli zoppi.
Tutte le considerazioni e lo studio che ho fatto su me stesso in questi anni sicuramente è del tutto personale, legato a come sono io,
forse non generalizzabile anzi sicuramente non generalizzabile in toto
ma se il valproato “per non cantare su un pero” è stato prescritto a me come a tanti altri forse la mia esperienza filtrata dalla vostra professionalità può essere d’aiuto a qualcuno, quel qualcuno che è il vero destinatario di questa lettera.
Cordiali saluti,

Giampaolo

Kate

Già da tempo non stavo bene...sopratutto negli  ultimi 5 anni,le difficoltà pesanti familiari,economiche,la nascita della mia seconda figlia...depressione dopo il parto.

Tutto il peso addosso a me che sorreggevo un marito depresso dopo aver perso il lavoro (due giorni prima della nascita della bimba) .

Combattevo,reagivo,poi crollavo...mi rialzavo...continuavo a stare sempre peggio,dimagrita tanto,sfinita,mi trascinavo come un ombra. Stavo male fisicamente...tachicardie,perdita di equilibrio,tremori,svenimenti,disturbi visivi,strani impulsi nel cervello scosse,sbandavo sembrava che vivevo su una nave,attacchi d'ansia etc etc.

Sapevo di essere depressa,ma la cosa cominciava a farmi paura perchè credevo che fossi il cuore visto che ne soffro  dall'età di 8 anni, dopo aver avuto la miocardite dovuta al virus che mi ha danneggiato il muscolo cardiaco e la valvola mitrale...mi sentivo di essere arrivata al limite fisicamente e psicologicamente.....

 

Marzo 2009 stavo al letto da 4 giorni per l'influenza che si accaniva su un corpo stanco, senza  difese.

La mia mente impazziva per i fatti suoi, in quei giorni ho vissuto stati di angoscia,  non sapevo nemmeno che un essere umano potesse soffrire cosi tanto nell'anima,un 'infinita valanga di sensi di colpa...solitudine e dolore interiore mi portarono a pensieri terribili,ad impulsi di farla finita.

Piangendo, soffocata dal dolore, stringendo i denti, battendo i pugni, pregando e supplicando la Madonna che mi fermasse...che mi fermasse per le mie figlie...è stata una notte di puro inferno.

La mattina dopo sono stata ricoverata, doveva essere un day hospital invece ci sono rimasta per 10 giorni

Analisi su analisi, lastre, ecografie,tutto per capire cos'avevo.

Richiesta consulto psichiatrico...diagnosi: disturbo bipolare II in soggetto in stato depressivo...

Niente !!! sana organicamente! (per fortuna).o non credevo non capivo come  fosse possibile che la mente potesse fare tutto questo col mio corpo... 

Il Prof.che mi aveva ricoverata mi disse "non stai bene con la capa (testa)" il suo modo di fare... non me la prendevo per il modo e le parole che aveva usato ma.....dopo questa frase..... Camminavo lungo corridoio per non so  quanto tempo piangendo a dirotto..ero crollata... era la prima volta in vita mia che mi sentivo cosi terrorizzata dal pensiero e dalla paura di impazzire veramente.

 

 Li c'era un terrazzino che collegava due edifici dell'ospedale, io andavo li per fumarmi la sigaretta e piangere le lacrime amare al riparo dagli occhi indiscreti di altri pazienti "normali".

Quella sera...stavo cosi male,che sentivo il mio cuore lacerarsi in mille pezzi , il mondo mi era crollato addosso. Dalla palazzina affianco si sentivano urla strazianti di una donna giovane...alzai lo sguardo per vedere da dove provenivano...era l'ultimo piano, con le sbarre alle finestre, lei aggrappata che urlava...aiuto...aiutatemi...la sua voce, il suo grido d'aiuto non riuscirò mai a cancellarli dalla mia mente.

Capì che era un reparto psichiatrico e il terrore ed il  dolore aumentavano a dismisura, guardai giù...stavo al 4 piano...dentro di me in pochi secondi sono passati decine di pensieri... mi sono accucciata per terra piegata in due piangendo e pregando come mai prima di allora...il pensiero che io sono diventata o diventerò come lei...e finirò attaccata alle sbarre di quel reparto, ha fatto si che mi è mancato il respiro, non riuscivo a riprenderlo...  più ci pensavo e più non riuscivo a respirare.

In quel momento ho sentito l'ascensore esterno che si era fermato sul mio piano, dal quale sono usciti due infermieri che mi conoscevano già visto che stavo li da qualche giorno.

Vedendomi in quelle condizioni sono corsi verso di me, nello stesso momento uno di loro sentendo continue urla della donna dietro le sbarre disse all' altro "ma che succede? "e l'altro gli risponde,"no niente i pazzi stanno dando i numeri"

finendo con una risatina.... Ma io da quella sera ero dalla parte dei "pazzi"...loro non hanno capito...mi hanno dato un altra mazzata in fronte!....

Una storia quasi comune

 

Ciao, Amici.

E' brutto usare le mie diagnosi come biglietto da visita, ma NOI sappiamo bene che hanno solo un valore tecnico. Dunque mi chiamo Stefania, ho 37 anni e mi curo da 12 anni. Diagnosi ricevute: depressione maggiore e disturbo borderline della personalità. E tuttavia (non lo dico per invidia, eh eh!) forse sto arrivando anche alla diagnosi di depressione bipolare. Mi permetto questa introduzione perchè nel NOSTRO sito possiamo parlaci senza doverci nascondere.

Mafalda

alt

  Mi considero una persona fortunata.
Una grande famiglia tranquilla, brava negli studi (ingegneria), lavoratrice tenace, tutto sembrava andare come previsto, una tipica "donna in carriera" anni 90. Ma un giorno, a 30 anni, come un fulmine a ciel sereno mi sono resa conto che avevo perso il controllo di me stessa, per me é stato come se, di colpo, non mi riconoscessi più.