Arte e follia

La follia nella letteratura e nell'arte

Riflettere sulla follia vuol dire riflettere sulla nozione di identità, su come percepiamo le cose, su che cos'è la realtà. La follia non è solo disagio o malattia: con le sue categorie, ci provoca e interroga la nostra visione del mondo. Negli ultimi due secoli la medicina, le arti, le scienze umane, la giurisprudenza hanno riconosciuto alla follia un duplice valore: da una parte, essa è l'“altro”, cioè un mondo profondamente diverso da quello dei “sani”; dall'altra, essa rivela qualcosa che è in tutti gli uomini. Tradizionalmente, folle è colui che, per comportamenti e opinioni, si distacca da ciò che la norma definisce accettabile. Qui inizia il problema della definizione della pazzia: nei vari ambiti sociali e nei differenti contesti storici cambiano i parametri che dividono ciò che è normale da quello che è deviante.

Rapporto fra creativita' e follia

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La follia è sempre stata in bilico tra il silenzio del delirio, che non possiede un linguaggio per esprimere le proprie ragioni e la parola, che parla invece il linguaggio di un sapere sommerso, escluso dal dominio del potere e della legittimazione sociale.

 

La figura del buffone, nel teatro che va dal Medioevo fino al Rinascimento, costituiva una istituzionalizzazione della parola della follia. Ma quando la follia ha cominciato ad essere compresa dalla ragione, attraverso la nascita della psichiatria, essa ha subito il pericolo di scomparire sotto il giudizio della razionalità medica. Nella prospettiva della psichiatria gli individui folli non sono più i rappresentanti di un mondo, respinto ai margini della società, ma sono solo dei malati. La letteratura dello scorso secolo ha risentito di questo slittamento della follia nella malattia. Il tentativo di grandi artisti e innovatori, come Van Gogh e Nietzsche, di esprimere il loro fascino verso una visione delirante del reale, poiché in assoluta mancanza di sintonia con la visione comune, subisce alla fine lo scacco dell'esclusione nel regno della follia. E l'esclusione della follia, anche indotta dall'uso delle droghe, diventa perciò il simbolo stesso della creatività, come in Baudelaire e in Edgard Allan Poe.

 

Ma come può esprimersi lo sragionare senza venire condannato all'esclusione della follia?

La follia nell'arte del cinquecento

 

L’ideale di bellezza perseguito dall’arte ha eluso ed escluso sino ad un dato momento storico immagini e soggetti non riferibili a quei criteri di regolarità, di equilibrio e di armonia attraverso i quali contemplare la perfezione della natura.  La follia, intesa come alterazione della personalità umana, è stata accolta nel grande repertorio figurativo dell’arte, ma è solo nel corso del Rinascimento che la follia diventa oggetto di indagine speculativa, testimoniata da scritti, da trattati e da numerose rappresentazioni. Una significativa riflessione su questo argomento viene infatti prodotta, tra la fine del 1400 e la soglie del secolo successivo, soprattutto nell’area culturale del Nord Europa,  percorsa da correnti di pensiero sia mistiche che eretiche.