La mia altalena
Quando sono nostalgica ed il mondo dei cosiddetti “normali” ferisce quella mia sottile sfoglia
che a fatica cerco di rendere scorza,
quella armatura che scinde la mia anima in quel che sono da quel che mostro al mondo,
allora capisco quanto sia complicato vivere,
quanto sia difficile abitare,
quanto sia duro il copione da debuttare,
quando sulla scena ci sono più parti da dover interpretare
e tanti ruoli da dover vestire..
Allora mi faccio forza..
ce la devo fare..
la Natura, la sua forza,
mi devo aiutare..
Come all’acrobata sul filo, acclamato dalla gente che rimane indifferente
o che trova più divertente lo spettacolo mirabolante
dell’artista che non è stato fornito di alcuna protezione,
vi racconto una storia che vi aiuterà a capire
il difficile spettacolo che mi è stato chiesto di eseguire..
e quali prove ho dovuto superare e che,
se intesso male il mio pesante mantello
spesso come un macigno e fluente come ala di cigno,
corro il rischio di dover rifare..
Ma a parte questa digressione, torno alla mia narrazione..
Due volte ho potuto sentirmi padrona del mondo
ero su di una montagna
ero invincibile
ero aria..
ero quasi ad un passo dalla stanza
quella più alta.. vicino quella del Signore..
sentivo ogni vibrazione
mi parlava ogni canzone,
ogni pensiero diventava poesia,
vivevo senza pudore senza paura o ipocrisia..
Ogni immaginazione era una possibile occasione,
ogni limite era una irriverente complicazione ma di facile soluzione
ed ogni sorriso una risata fragorosa,
ogni oggetto una indispensabile cosa da possedere
ed ogni parete una possibilità per colorare, disegnare e spaziare
nel continuo e irresistibile moto che mi impediva di riposare..
Quando ogni numero era una combinazione, una cabala, un messaggio da decifrare..
ogni progetto, anche il più assurdo, troppo importante da rinviare
ma che ahimè svaniva nel nulla per far posto ad uno nuovo più grandioso
e poi ad un altro ancora più ambizioso..
Non c’era tempo per dormire,
non c’era pericolo da sviare ed
ogni muscolo era una freccia rivolta verso l’azione
ed ogni percezione era amplificata
e creava stupore in chi, contagiato dalla passione,
era ubriaco da tanta ebbrezza..
Difficile da dire a parole.. e come se vivessi
in uno stato di assoluta magia
che si contagiava diventando simpatia, euforia
e laboriosa frenesia..
Ma poi…come su un dondolo che viaggia veloce verso una sola direzione..
venivo sospinta oltre la soglia di quel indescrivibile piacere..
in una dimensione dove si perde il filo
si comincia a temere di non potersi più fermare
e si comincia a pregare un Dio che si è appena finiti di rinnegare..
In quel caos emotivo dove il troppo è l’oblio, dove si insinua il dubbio, dove si accende la rabbia, dove non si trova il percorso, dove la vita è un eccesso e
nel punto più alto.. la beata mania coincide con il buoio del sofferto oblio…
Il buio è sempre oscurità..
Sia che sia frutto dell’oblio che della cecità della troppa luce…
Quando si giunge nel luogo poco conosciuto
in cui gli opposti si toccano e generano un eccesso di energia che crea lo scoppio
tutto si spegne, si esaurisce e muore..
Inizia il crollo..
La caduta il tonfo..
Quando la mia energia fù esaurita per il troppo lavoro..
dopo qualche passo stolto di un corpo vaneggiante
ridiscesi nell’oblio senza opporre contrasto
precipitai dalla vetta agli inferi della terra
Ricordo come se in questa grossa buca
Mancasse l’aria e si avvertisse l’odore ardente della morte
ma che la consapevolezza di non esserlo
ma di aver perso se stessi nel volo
rendeva la vita un inferno..
Mi sentivo nuda.. senza forze..
senza parole..
ed avevo un nodo in gola
di chi vorrebbe gridare ma non ci riesce
e che sa chi era e non si riconosce..
Il cuore trafitto dal rimorso, dalla paura di non poter più tornare a volare..
Con le ali spezzate dal senso di colpa
di credere che quella agonia fosse il frutto
del proprio operato e del proprio cervello storto..
In quella caverna di sofferenza
Lontana dai fragori del mondo
Isolata nella propria umiliazione e vergogna
Non c’è speranza non c’è luce non c’è voglia..
Ricordo di volere morire
per non subire quel insano dolore
cercavo con le mani.. con le unghia...
cercavo di risalire..
ma salivo e ricadevo..
piangendo e urlando
rammento ancora la mia incapacità di uscire da quel fosso..
dove le pareti sembravano fatte di ansia, paura, panico, ed il soffitto di sgomento..
Ed il tempo..
non so dire quanto tempo..
quanto passato li' nel mio sfinimento..
Con la mente offuscata ed il dolore continuo del corpo che non sentivo mio..
udivo le voci dei miei cari da lontano
del mio salvatore esperto di problemi di perdizione
ma non riuscivo a capire la loro esortazione..
ma in fondo al cuore
c'era un sottile e prevalente rumore
che mi faceva fermare..
non so nulla, non so arrivare, non servo a nulla, non so che fare,
non ricordo nulla, non so come fare
sono solo un peso..
che non sa piu' amore..
chiudete la fossa
preferisco sfumare..
da questo dolore che non riesce a tacere..
Mentre precipitavo nel buoi del grosso bracere
sentivo le forze cadere..
la vita tacere..
il cuore bollire..
fino ad evaporare con il mio stesso dolore...
Ero giunta nel fondo.. perduta
negli abissi del mondo.. ansimante
nella confusione mentale.. in panicata
nell’autoisolamento.. braccata
ero depressa e non riuscivo a riuscire..
Non so quanto tempo è passato
non so quante cose ho lasciato
non so come Dio mi abbia voluto vedere morire
in quel modo..
avrei preferito che mi avesse mandato all'inferno.
almeno quel dolore avrebbe avuto un senso..
La cosa paradossale che vi sto per raccontare
è che da quel torpore non ci si può svegliare
se non con un aiuto che ti rimetta insieme..
La salita è quasi improvvisa..
È una spinta che invece che riportarti in terra
ti rispedisce in volo.. verso un altro mondo..
Allora dagli inferi si ritorna al paradiso
Senza tregua si ricomincia il giro..
La normalità, il vero IO
È una conquista che arriva piano
Dopo una altalena che ti può far male..
Non so se sono stata capace di narrare
La fregatura che ho dovuto subire
Ma una cosa è certa la mia è stata anche una scoperta
Ho conosciuto una dimensione estrema
dal buio delle tenebre a quello etereo dell’estasi..
Ho imparato a conoscere la mia anima fino alle più ampie sponde
Ma pagando un gran prezzo..
e per non ripetere il nevrotico giro di questa giostra impazzita
Sono costretta a seguire un filo
Che mi conduce a capire da dove vengo.. dove vado..
Ma soprattutto chi sono…
Domande di millenni che si ripetono nelle menti di uomini eccelsi
Ma che per fortuna o per disgrazia
Io ho dovuto assaporare con poca grazia
Ma con una violenza estrema che mi ha
Condotto all’essenza della mia materia..
Il mio cervello, la mia mente, il mio mondo, la mia persona
Sono inscindibili elementi del mio vivere
Che mi sono soffermata a capire..
Adesso comprendo maggiormente il dolore
Riesco a cogliere l’essenze della gente
E comprendere le trame più intricate
Di cui l’umore si nutre e ci tempra..
L’azione è nulla senza la sua percezione..
E la percezione è frutto proprio del nostro umore..
Quando si vira verso l’umore acceso
Tutto è possibile, facile e bello.. il cielo è sempre sereno..
Ma quando l’umore ti porta all’inferno
Non c’è via di uscita al più grande dolore
Il cielo è tetro e non c’è mai il sole..
Due volte ho assaporato questo sconvolgimento, questo delirio, questo macello..
E adesso capisco che la vulnerabilità che ho dentro
La devo rispettare..
Da dire ce ne sarebbe ancora..
ma per semplicità vi dico che la mia ambivalenza
è un terreno di cui non poter far senza..
è una parte di me che crea e distrugge
ma che se a voi non piace.. almeno voi..
potete farne senza.. liberandovi della mia complicata presenza.
BB ottobre 2007
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