Arte e follia

La follia nella letteratura e nell'arte

Riflettere sulla follia vuol dire riflettere sulla nozione di identità, su come percepiamo le cose, su che cos'è la realtà. La follia non è solo disagio o malattia: con le sue categorie, ci provoca e interroga la nostra visione del mondo. Negli ultimi due secoli la medicina, le arti, le scienze umane, la giurisprudenza hanno riconosciuto alla follia un duplice valore: da una parte, essa è l'“altro”, cioè un mondo profondamente diverso da quello dei “sani”; dall'altra, essa rivela qualcosa che è in tutti gli uomini. Tradizionalmente, folle è colui che, per comportamenti e opinioni, si distacca da ciò che la norma definisce accettabile. Qui inizia il problema della definizione della pazzia: nei vari ambiti sociali e nei differenti contesti storici cambiano i parametri che dividono ciò che è normale da quello che è deviante.
 La follia assume un significato diverso durante la cultura romantica, che la rappresenta come un eccesso e un'esaltazione che rivela la natura più profonda dell'individuo. Nei romantici, lo spazio riservato alla pazzia amorosa è piuttosto limitato e vengono indivuduati altri due campi in cui la follia trova sfogo: il genio, che permette all'individuo di trascendersi e uscire di sé; le pulsioni profonde dell'anima, sepolte al di sotto della coscienza, in cui la natura umana rivela quanto ha di perturbante.

Una manifestazione del legame tra follia e eccesso romantico è dunque il genio, che vede al di là della ragione e della logica comune: si tratta, in qualche modo, di una forma di misticismo. Nasce così il mito dell'artista romantico folle, che si appoggia per di più a biografie reali. Questo mito ha per protagonista Torquato Tasso, grande poeta italiano vittima di un delirio di persecuzione e di crisi allucinatorie. La follia di Tasso è l'eccesso romantico che riconosce al genio poetico una superiore saggezza ma che vede la poesia come un ripiegamento totale su di sé e una perdita del mondo reale per il mondo interiore delle fantasie e delle passioni. Questa è la posizione di Giacomo Leopardi che a Tasso dedica una delle Operette morali, il Dialogo di Torquato Tasso con il suo genio e, per il tema che ci interessa, alcuni passi dello Zibaldone. Tasso è per Leopardi un uomo «vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato, che ha ceduto all'avversità, che soffre continuamente e patisce oltremodo» ( Zibaldone, 4255). Infelicità e follia sono i limiti della grandezza della sua opera: egli precipitando nella follia ha sancito la sua inferiorità di uomo e artista. Lo stesso genio di Tasso, del resto, è un genio che si ritorce contro se stesso: è un eccesso di conoscenza che finisce per sopraffare, un contatto con misteri così alti che finiscono per schiacciare. La follia è dunque il genio che non sa dominare se stesso e che, alla fine, si cancella. Per Leopardi sembra esistere, tra genio e follia, un rapporto strettissimo: almeno il rapporto che c'è tra una cosa e il suo eccesso.

Il carattere d'eccesso che l'età romantica riconosce alla follia può essere tale da farne un fenomeno perturbante: un fenomeno, cioè, che sconvolge la nostra normale percezione della realtà, evocandoci insieme qualcosa di sinistro e di oscuramente famigliare. La follia rivela così il nostro aspetto oscuro; il fantastico e il soprannaturale dicono qual'è la nostra reale natura. Su questa strada si pone un grande maestro del genere, l'americano Edgar Allan Poe (1809-1849). La follia, insomma, svela un'inquietante compresenza di vita nella morte e morte nella vita. Il legame tra fantastico e follia emerge con chiarezza anche nelle opere di un pittore che è Poe stesso a citare nel Crollo della casa Usher: lo svizzero Füssli. Richiamata direttamente o indirettamente, la follia porta alla luce le forze oscure dell'inconscio. Anche qui il fantastico è la traduzione di angoscie profonde, legate a pulsioni distruttive o alla sessualità, come nella Follia di Kate e soprattutto nell' Incubo. Perciò la pazzia si lega a figure femminili: la donna non è solo la creatura più fragile di fronte alle passioni, ma anche l'oggetto del desiderio sensuale che si nasconde dietro all'attitudine sentimentale.

Una svolta decisiva nella storia della follia è segnata dalla nascita della psicoanalisi. I meccanismi del disturbo psichico sono ricondotti a quelli che regolano l'inconscio di ogni uomo. La follia non è più un mondo estraneo, da allontanare: in questo modo si può rivendicare il potere di conoscenza, mettendo in crisi le categorie tradizionali di io e di realtà. Appare dunque un'altra prospettiva: la pazzia è dimensione alternativa a quella della vita «normale», giudicata come impraticabile da molti scrittori del XX secolo. La follia è rifugio rispetto alla sofferenza dell'esistere. Il più noto e significativo esempio è probabilmente quello dell'Enrico IV di Pirandello che, come altri personaggi pirandelliani, sceglie la pazzia per non contaminarsi con la «vita impura». La follia di Enrico IV è dunque legata alla volontà di sfuggire alla vita, e in questo senso la follia svolge un ruolo analogo a quello che la morte svolge in altri autori, richiudendo l'individuo in una forma storica già definita e vissuta. L'alienazione mentale dà quindi tranquillità e fissità che si oppone alla lacerante molteplicità della realtà.

Introduzione della tesina vincitrice del "Premio Maturità 2007": miglior tesina in ambito umanistico