Le nostre storie

Spock

Prevenzione.

Praeventio-onis, dal latino “azione preventiva”.
Azione, actio-onis, dal latino “fare”.
Fare prevenzione, attivarsi perché un evento non accada.

Nemmeno Clifford Simack con la sua fervida mente ci potrebbe aiutare, anche lui si aggirerebbe sbigottito tra queste due parole se dovesse provare a collegarle con l’istituzione psichiatrica.
Forse chiederebbe consiglio all’amico Asimov ed Asimov, a sua volta in difficoltà, chiamerebbe in soccorso Bradbury  che, disperato, cercherebbe Clarck che, a sua volta,……..
Ma nessuno tra loro, nemmeno l’autore di Viaggio su Marte, sarebbe in grado di creare un ponte tra due realtà così lontane, tra due galassie separate da miliardi di anni luce, tra due universi paralleli che non hanno nessuna convenienza nell’incontrarsi.
Dispiace immaginarli distrutti dopo ore di discussione quando decretano la fine della fantascienza.
La psichiatria ha superato la fantascienza, la fantascienza è morta, ci saranno degli scrittori senza lavoro. Chissà. Forse potranno contare anche loro sull’assistenza sociale, o forse andranno in delirio, riuscirà la psichiatria a prevenire il disagio degli scrittori disoccupati?

Ma se esistesse veramente la pratica sociale della prevenzione, la volontà politica di evitare che le pulsioni nevrotiche di questo sistema alimentino il disagio e l’infelicità la psichiatria che ragione avrebbe di esistere? Prevenire realmente le condizioni di disagio significherebbe togliere alla psichiatria la sua ragione di essere. Dunque che interesse può avere la psichiatria nel prevenire?
Sarebbe come se un artigiano si prodigasse per rimanere senza lavoro.
Anch’io, nel mio piccolo caso, ho conosciuto la prevenzione della psichiatria. Erano così prevenuti nei miei confronti che in quindici giorni hanno stabilito che sono un maniaco depressivo, si sono addirittura preoccupati di farmi rimanere senza lavoro, tanto erano prevenuti. Certo, si sono impegnati allo spasimo per crearmi le condizioni ideali perché mi suicidassi, ma anche loro ogni tanto sbagliano.

Prevenzione? Preferirei passare un weekend in una grotta con Polifemo piuttosto che dieci minuti al Cim.

La prevenzione è un atto concreto che scaturisce da necessità sociali e culturali ben definite, sono le necessità culturali che determinano o meno la natura e l’efficacia della prevenzione.
L’esistenza del diverso, del pazzo, dello zingaro, del drogato, dell’emarginato ha una ragione storica ben precisa, non è vero che queste tipologie di soggetti sono aliene dal sistema in cui vivono, anzi, ne sono uno dei pilastri essenziali, sono complementari alla morale comune.
La morale, la convenzionalità, necessita di termini di paragone su cui tracciare una linea discriminatoria. Così il sistema produce concretamente il disagio per poi servirsene per scrivere i propri codici morali.
Io sono un ragazzo fortunato: la mia vita è un’enciclopedia di cazzate, ho anche l’indice, ho abusato di eroina, di droga, di alcool, sono uno zingaro del pensiero che ha conosciuto l’emarginazione.
Nel mio caso si poteva prevenire tranquillamente l’ospedalizzazione, bastava che qualcuno mi ascoltasse, desse credito alle mie parole, bastava che qualcuno, prima che uscissi di testa, mi facesse sentire un po’ di calore. E’ arrivato il momento in cui, dopo non essere stato ascoltato sono diventato io quello incapace di sentire che, spinto dal condizionamento sociale ho cominciato a costruirmi un mio mondo fatto di collegamenti che non esistevano fino a generare una visione del reale completamente mia, particolare, che non ha degenerato comunque in atti di violenza.
Mah.
Interseco la mia esperienza a riflessioni di carattere generale.
Mi è accaduto di rileggere un documento che avevo cominciato a scrivere nel febbraio 2007 in cui vi sono riportati episodi di una drammaticità incredibile che mi hanno colpito all’epoca, è anche agghiacciante poiché, volendo, vi si legge la mia disperazione, la mia indignazione crescente, la mia sofferenza che diventerà crisi, ma alcuni fatti sono inoppugnabili. Probabilmente sono finito in psichiatria solo perché sono stato così distratto da non riportarli in ordine cronologico.
Lo ha letto il sindaco del paese in cui vivo, lo hanno letto i carabinieri, qualche mio amico e mi sono trovato contro indifferenza, preoccupazione e sufficienza, nonché la classica frase fatta.. Sei matto, benedetto figliolo.
Come tanti sono il classico matto per convenienza, prevenire il mio disagio, la mia crisi di delirio che vi è stata ed è stata fortissima, avrebbe significato rompere degli equilibri. Meglio colpire una persona isolata che rischiare di cambiare la realtà che si ha intorno, quella deve rimanere uguale a se stessa giorno dopo giorno, tanto ormai ognuno ha conquistato e difende con i denti la sua striscia di territorio.

Certo la miseria più nera potevano anche risparmiarmela, almeno quello. Ragazzacci poco delicati. Cattivoni!

La stessa cosa potrebbe accadere in una famiglia, l’esplosione della fantasia, la proposizione di una strada diversa per affrontare il futuro spezza inevitabilmente degli equilibri consolidati, dunque non si ascolta, si rifiuta, si punta l’indice contro il diverso, si spara. Può accadere, talvolta, che la sparatoria finisca con un’iniezione di Haldol. Solo quando entra in campo la psichiatria si comincia ad ascoltare. Eccome se si ascolta.
Si ascolta costernati la sentenza dello psichiatra che, ignorando placidamente le ragioni dell’individuo, diagnostica. E così si accetta la diagnosi che tutti, intorno al soggetto, hanno contribuito a costruire.
Non sarebbe più facile stabilire che una determinata percentuale della popolazione deve avere problemi di salute mentale e diagnosticare direttamente nel reparto di maternità? Poi si creano le condizioni ideali perché il predestinato pazzo lo diventi davvero. Così la pazzia continuerebbe ad esistere, ma il controllo sociale sarebbe totale. Naturalmente si distribuisce un kit ai familiari, agli amici, ai colleghi di lavoro, a chi frequenterà il soggetto in cui si spiega dettagliatamente il significato della parola convenzione e si illustrano le tecniche con cui trasformare una persona potenzialmente felice in un deviato.

E vissero tutti infelici e scontenti.
Consoliamoci. Paperinik è vivo e lotta insieme a noi.

La strada più facile e più sicura per finire in psichiatria, almeno per quanto riguarda la mia esperienza personale, è quella di cercare di creare un progetto di condivisione.
La condivisione si scontra con gli interessi corporativi e questo scontro può mietere vittime.
Ma una forma di condivisione sono comunque riuscito a crearla: l’espressione di pietà e di sdegno che accomunavano le espressioni di chi incontravo erano uguali negli occhi di tutti.
Dunque la mia battaglia l’ho vinta, magari non proprio come volevo, ma non si può avere tutto dalla vita.
Nessuno si presenta in un reparto psichiatrico da solo, nemmeno quando lo fa volontariamente.
C’è sempre una mano invisibile che ti accompagna, una, cento, mille mani che ti accompagnano.
Le mani della convenzione, della banalità, le mani del potere che decretano quali sono i limiti che tu non puoi oltrepassare con la fantasia e l’immaginazione, con il dissenso e la volontà di cambiare il reale.
Le mani del sistema che usano la tua pazzia come si usa un bastone da passeggio.

- Prevenzione?-.
- No, grazie. Devo ancora diagnosticare-.






Diagnosticare.

Diagnostica. Insieme delle conoscenze e delle tecniche il cui possesso e la cui applicazione permette di formulare una diagnosi.
Diagnosticare. Formulare un giudizio su qualcosa, dopo un attento esame critico.

Ah. I vocabolari, quanta carta sprecata inutilmente. Bradbury ha già previsto dove finiranno, ma lui ha letto il futuro, non poteva certo immaginare la tragicità del presente.
Viene da chiedersi cosa farebbe il Commissario Basettoni leggendo il significato nel vocabolario e cominciando ad indagare su qualche diagnosi. Credo aprirebbe una battaglia a tutto campo, comincerebbe a girare per tutte le strisce dei fumetti urlando che ha trovato le prove dell’inganno.
Così anche quelli della Banda Bassotti e Zio Paperone, atavici nemici, parteciperebbero all’assemblea indetta dal commissario. Super Pippo, Paperinik, Ezechiele il lupo, Orazio, Clarabella….., tutti preoccupati che il disegnatore trasformi il loro Gasp! in un Tso.

La conoscenza è una parola enorme, addirittura incomprensibile nella sua estensione, così come è incomprensibile pensare di potere comprendere la storia, le emozioni, le delusioni di una persona nei loro recessi più reconditi.
Solo un atto di superbia può arrogarsi un simile diritto, ma troppo spesso la superbia è solo la maschera dell’ignoranza più bieca, l’ignoranza di chi sa guardare solo un infinitesimale orizzonte contrabbandandolo per verità assoluta. Ergo la psichiatria è gestita da quattro poveracci che spacciano la tecnica per conoscenza offendendo non solo il soggetto che diagnosticano, ma il concetto di umanità e di esperienza nella sua interezza.
Quando mi facevo le pere, talvolta, nella bustina che acquistavo, anziché trovarci eroina vi trovavo della polvere grattata da un muro. Si chiama pacco.
Non voglio certo fare l’elogio dell’eroina, anzi.
Voglio solo dire che la psichiatria non è altro che polvere grattata da un muro.
La psichiatria non è altro che un pacco.
A suo tempo mi hanno stordito con l’Haldol.

Se dovrà riaccadere chiederò che mi sia iniettato del Bitter Campari corretto con il gin, possibilmente Gordon gin.

Sono stato diagnosticato maniaco depressivo, non riuscirò mai a capire come possano essere giunti ad una simile conclusione, è vero che per dieci, quindici giorni ho visto cose che voi umani non avete mai visto, ma mi risulta di essere una persona sostanzialmente inoffensiva. Mi sono chiesto che metodo hanno usato per dirmi che sono un maniaco.
E’ vero che nella mia vita ho coltivato debiti, così come un orticoltore coltiva il basilico nella propria serra.
E’ vero che dei soldi non me ne è mai fregato un cazzo.
E’ vero che ho abusato di droga e alcool.
E’ vero che per eredità familiare e per conoscenza ed esperienze ho sempre avvertito dentro di me una forte tensione ideale verso la passione politica e la giustizia sociale.
E’ vero che sono un autarchico del pensiero.
E’ vero che quasi tutte le mie iniziative si sono tradotte in fallimenti, ma soprattutto nel giudizio comune, poiché mi arrogo il diritto di dare una mia interpretazione al reale.
E’ vero che ho fatto cose apparentemente assurde che a me sono parse normali.
E’ anche vero che una volta ho avuto allucinazioni in seguito all’abuso di psicofarmaci.
Potrei andare avanti all’infinito.
Sicuramente ho causato meno danni di un politico di medio livello.
E’ tutto vero, è parte della mia vita.
Ma la mia vita sono cazzi miei.
Viviamo in una repubblica costituzionale che garantisce il diritto al lavoro e sono disoccupato, ciò che ritengo fondamentale è non ledere con il mio comportamento la vita altrui, vorrei capire perché vengono violati sistematicamente i miei diritti di cittadino lasciandomi senza lavoro e, attraverso la psichiatria, mi viene negata la libertà d’espressione. Eh, sì. Perché quando sei marchiato devi stare attento alle parole, ai comportamenti, vuoi che non ci sia qualche parente o amico che con la sua misericordia se ricominci a fare il bizzarro ti indirizza di nuovo verso la via dello stordimento farmacologico e, se proprio va male, in prigione?
La mia vita è stata letta dagli occhi degli altri e sono stato giudicato per la mia somma di esperienze trascurando completamente le ragioni che mi hanno condotto alla crisi.
“E’ un tipo strano, è sempre stato strano, ha sempre fatto casino, è sempre indignato, un vero rompipalle. E’ povero, è un disgraziato, non ha nulla e non gliene frega nemmeno niente.”
“Fa discorsi complicati, si è bruciato il cervello leggendo troppi libri. Ha dormito per un inverno con una finestra rotta nella camera da letto, alla mattina dentro la stanza c’era la nebbia.”
“Una volta è andato fuori di testa perché si è rotta l’amicizia con un amico.”
“Certo è un bravo ragazzo, si fa volere bene, ma ha visto in che condizioni si è presentato, è chiaro che nel cervello c’è qualcosa che non va.”
“Non condivide i nostri interessi, a volte è addirittura incomprensibile.”
Ma saranno cazzi miei.
La mia vita è mia, così come quella di qualsiasi individuo, e non intendo certo giustificarmi con dei bambinelli cui tremano le labbra se citi Proust o Magris.

“Si figuri che è così sensibile che quando gli hanno minacciato la bambina ha cominciato ad andare fuori di testa. Noi non rischiamo di andare fuori di testa, illustrissima psichiatra, il nostro verbo è vivere subendo, non certo reagire.”
- Ok, parenti, ok, amici, dunque i dati sono sufficienti per la diagnosi, a lui non chiedo niente, tanto è matto. Vediamo, vediamo, vediamo. Vede quello che non c’è, è convinto nel suo delirio che dietro alla Cna ci sia la mafia -.

Tra le altre cose accadute in quel periodo qualcuno terrorizzò un giovane artigiano asserendo che dietro alla Cna vi fosse gente pericolosa. 
Io feci mia quella che non riconosco assolutamente come verità. Considero la Cna, per esperienza personale, una rappresentazione corporativa dello squallore, nulla di più.

- Poi ha detto che il reparto è claustrofobico e che non c’è un cazzo da fare tutto il giorno e che almeno il calcetto balilla potevamo mettercelo, passeggia avanti indietro per il corridoio guardando per terra. Uhm! –

Io passeggiavo perché non sapevo che cazzo fare e contavo le mattonelle.

“ Dunque, dunque, dunque, evitiamo accuratamente di dare credito al documento che ha voluto che leggessi e in cui vi era scritto parte di ciò che gli era accaduto, una strana storia su un pilone di cemento e frasi deliranti su un commercialista e la sua bambina. Povero Cristo. Devo accuratamente parlare solo di ciò che non gli interessa, vediamo se riusciamo ad allungare i tempi del suo malessere. “
“ Allora, allora, allora.
“Delirio, fantasmi nella sua mente, eccessi in dosi industriali, ottimo grado di cultura.
Leggono troppi libri, conoscono troppe cose, è chiaro che poi me li ritrovo qui, poveri figlioli.
In un mondo che non vuole sapere un cazzo dove vuoi che vadano a finire?”
“Mumble. Mumble. Mumble. Effettivamente. Potrebbe essere un ottimo maniaco depressivo, ha tutte le carte in regola.”
“Dove è il timbro? Qui c’è quello per gli schizofrenici, questo è per i depressi“.
“Ehi! Qualcuno ha preso il timbro per i maniaci depressivi?.”
“Se non si trova il timbro prima della fine del turno uso quello per gli schizofrenici.”
“Scusa, l’avevo preso io per sbaglio, stavo timbrando un depresso come bipolare.”

In quel mentre quel disgraziato non ha requie, non riesce a stare fermo, i farmaci che gli hanno somministrato gli impediscono di stare seduto, le gambe tremano, ma la psichiatra sostiene che così deve essere nonostante le implorazioni per la sospensione.
Arriverà il momento in cui i farmaci lo faranno sbavare. Una persona che sbava.
Una persona spogliata della sua dignità regalata ancora più impietosamente alla stigmatizzazione.
Dicono che i farmaci distruggano la memoria, io ricordo tutto.
Ma soprattutto non ho intenzione di dimenticare.

LA SOPPRESSIONE DELLA MEMORIA È IL PRINCIPIO DEL NEGAZIONISMO, LA PSICHIATRIA È UNA SCIENZA NEGAZIONISTA POICHÉ RINNEGA LE ESPERIENZE E IL VISSUTO STORICO DELLE PERSONE.

Ah. Benedette diagnosi che permettono di galleggiare al battello della psichiatria, un battello sontuoso che solca i fiumi della sofferenza, le luci sono accese, l’orchestra suona, gli psichiatri ballano. E’ tutto perfetto, tutti i meccanismi funzionano alla perfezione, il quadro è idilliaco.
Anche lo Zeppelin quando partì suggestionava per la sua maestosità, anche allora lo spettacolo si presentava idilliaco, poi qualcosa evidentemente accadde durante il viaggio e………..
Ho saputo da mie spie con cui ho contatti all’interno del commissariato di Topolinia che il Commissario Basettoni fu contento quando lo vide cadere.
Ora il Commissario segue trepidante il viaggio del sontuoso battello, mentre pensa al Titanic….
Non vede l’ora di esclamare: WOW!!!!!!!!!!!!!!                                                        




Somministrazione terapie appropriate per le malattie mentali.

Un filo sottile.
Sottile, ma continuo.
All’angolo della bocca.
Che scende, scende, scende……….
Non è facile uscire di casa quando la tua saliva è visibile agli occhi degli altri.
Non c’è che dire, una terapia appropriata che favorisce l’integrazione sociale.
Ma è tutto per il tuo bene.


Ah! Ah! Ah!
L’umorismo della psichiatria.
Quando ripenso al Centro di Igiene Mentale mi chiedo come mai Moira Orfei non li ha contattati per offrire loro un occupazione.

Magari hai anche la sfiga di dovere cercare lavoro e ti aggrappi alla speranza che il titolare della ditta cui ti rivolgerai sia anch’esso imbottito di psicofarmaci e ti possa capire.
Una fantasia idiota.
In reparto devi stare in fila come i bambini delle elementari quando escono da scuola fino a che arriva il tuo turno. Poi assumi i farmaci che ti danno. Ma mica sai quello che assumi, stai male e ti fidi. Sei arrivato in pieno delirio e questo ti spoglia dei tuoi diritti, anche di sapere quali possono essere gli effetti collaterali delle sostanze che hanno cominciato a lavorare nel tuo cervello e che dovranno ammansirti fino al punto di riconoscere come vera la diagnosi che ti verrà attribuita.
Certo, può essere che per dissipare i fantasmi che si annidano nella tua mente una temporanea somministrazione di farmaci sia efficace. Ma temporanea, non perenne.

Ma guarda che bella storiella può partorire la fantasia malata di un maniaco depressivo.

Un giorno, preda della più cupa disperazione, vagavo per il mio quartiere d’origine, un senso di vertigine mi affondava sempre più in una ragnatela di pensieri che si facevano vortice, pensieri concentrici che non lasciavano penetrare uno spiraglio di luce. Non sapevo a chi rivolgermi, coi familiari fingevo, per quanto ne ero capace, una tranquillità che non avevo per non preoccuparli ulteriormente, lo stesso comportamento mi sentivo spinto a tenerlo con gli amici.
Dolore e solitudine cosmica.
Mi fidavo ancora dell’istituzione psichiatrica e chiamai il reparto, volevo conversare, necessitavo di una parola di conforto. Colui che mi rispose mi chiese quali farmaci assumessi e alla mia risposta disse:
- Ah! Quelli che dovrà prendere tutta la vita -, e lo disse con assoluta leggerezza. 
Per tutta la vita? Ma come per tutta la vita? Nessuno mi aveva detto che avrei dovuto prendere farmaci per tutta la vita. Fu come ricevere una coltellata al cuore. Ma se devo prendere i farmaci per tutta la vita vuole dire che sono davvero matto.
Poi aggiunse con voce ilare, riguardo alla mia situazione economica, che avrei ricominciato a preoccuparmi anche delle banche.
Mi invitò a farmi ricoverare nuovamente, rifiutai, la dose di stigma che avevo ricevuto era più che sufficiente.
Io cercavo una parola di conforto e lui cercò di uccidermi.

Con nonchalance, of course.
Ah! Ah! Ah!
L’umorismo della psichiatria.

Il valore delle parole viene completamente ignorato, si instaura un baratro tra i matti e gli psichiatri all’interno del reparto. I farmaci sono il ponte che lega gli uni agli altri. Gli infermieri sono coloro che attraversano il ponte. Gentili, puntuali, acritici. Dunque una struttura prettamente tecnica che si occupa di sofferenza umana.
Ma come si arriva alla terapia farmacologia appropriata? Come si può decidere quale sostanza sia in grado di mitigare la sofferenza? La sofferenza è come un mare che dilaga all’interno dell’anima.
Può davvero una pillola contenere la forza del mare? No, ne può solo appiattire le onde.
E l’obbiettivo della psichiatria attraverso i farmaci è proprio quello di appiattire le onde, non di cancellare il mare della sofferenza, essa rimane solo sopita, i suoi risvolti si celano nei meandri dell’esistenza di ognuno. Così, seppur sopita la sofferenza rimane, il cervello è intorpidito dai farmaci e le relazioni sociali e di lavoro saranno comunque deviate dal loro corso naturale e, ogni tanto, quando le onde torneranno tumultuose si modificherà la terapia, mantenendo inalterate le radici che sono all’origine del disagio. E’ talmente lampante l’inganno della psichiatria che, probabilmente, solo i bambini sono in grado di comprenderlo con facilità, per la semplice ragione che sono ancora privi di quelle sovrastrutture che ci condannano alla diffidenza reciproca, che ci fanno accettare lo stress come se fosse un prodotto della natura, che ci fanno credere che l’esercizio del potere sia un blasone da conquistare e non un mezzo per esercitare il controllo sociale ed infliggere umiliazione.

Sigh! Sigh! Sigh!
La miseria della psichiatria.
Se poi si va ad indagare sugli effetti degli psicofarmaci, soprattutto se assunti per un lungo periodo,
anche il Marchese De Sade si ridimensiona e quando lo leggi ti sembra di avere in mano il Manuale delle Giovani Marmotte.

Tutto ha una sua logica in questo sistema, nella sua illogica estrema questo sistema ha una sua logica ferrea, inoppugnabile, devastante.
La logica economica che determina tutti i rapporti e da cui la psichiatria non è immune.
Parlare delle case farmaceutiche è fin troppo banale, in una società che aspira alla felicità e alla solidarietà, alla vera comprensione, all’equa distribuzione delle ricchezze, criminali che producono antidepressivi, ansiolitici, antipsicotici atipici, neurolettici sarebbero davanti ad un tribunale per violazione dei diritti umani. Ergo questo sistema per ragioni prettamente economiche propone un modello di frustrazione e di infelicità comune perché le sue propaggini, e tra queste le case farmaceutiche e la psichiatria, continuino a prosperare.
Come si fa a non chiedersi perché esistono gli assistenti sociali?
E i Centri di Igiene Mentale? La psichiatria? Gli psicofarmaci?
La risposta più ovvia è che esistono per aiutare le persone in difficoltà.
L’esistenza di queste strutture organizzate, sovvenzionate, socialmente accettate riesce a dare una risposta al disagio, annulla le carenze affettive che talvolta possono essere laceranti e buttare fuori di testa una persona? La somministrazione di farmaci che deviano i tuoi pensieri dal loro corso naturale, che ti appiattiscono le emozioni  che vita ti faranno vivere, la tua o quella che qualcun altro ha deciso per te? Se hai la disgrazia di rimanere privo di risorse economiche queste strutture sono in grado di reinserirti nel mercato del lavoro? O ti danno duecento euro per tre mesi (come è successo a me) lasciandoti solo ed imbottito di psicofarmaci?

Intanto tu cerchi di capire perché è successo quel che ti è successo e ti sbatti per il tuo sostentamento; per fortuna, hai avuto la forza di urlare alla psichiatra che far sbavare una persona è un atto di agghiacciante disumanità anche se per loro è normale e socialmente accettato, anzi, meglio se continui, così ci sarà lavoro anche per gli assistenti sociali.

I farmaci sono solo dei fottutissimi ammansitori sociali che annullano la creatività, la capacità critica e di pensiero, la voglia di cambiamento, la possibilità di vedere altre facce della realtà, quelle facce che l’omologazione imperante non vuole vedere e rifugge immergendosi nella follia dei reality-show.

Mi hanno detto che sono maniaco depressivo e mi hanno prescritto dei farmaci efficaci per combattere il mio disturbo, simpatiche caramelline bianche che entrano nel tuo cervello e lavorano, lavorano, lavorano……..

Ma mi hanno propinato anche degli antischizofrenici poiché hanno scoperto che funzionano anche per il disturbo bipolare.

Come se un giorno ti accorgessi che nella tua macchina a benzina puoi mettere anche il gasolio. Mah.

Mi hanno propinato anche degli antipsicotici atipici, quelli vanno bene per ogni stagione.

Ho scoperto che sono ottimi soffriggendoli insieme alla pancetta quando faccio la carbonara.

Mi hanno propinato anche dei neurolettici, effettivamente notevoli devo dire, assolutamente incompatibili con l’attività lavorativa, li conservo ancora.

Un mio amico li ha sbriciolati nel terriccio in un  vaso in cui c’era un tronchetto della felicità e il tronchetto è subito diventato depresso.

Comunque rimango un maniaco depressivo a tutti gli effetti.

Per alleviare la cosa ho escogitato un sistema.
Un giorno faccio il maniaco, un giorno faccio il depresso.
Sono diverso dagli psichiatri, loro sono costanti.
Un giorno creano danno ed il giorno dopo anche.
Un giorno prescrivono farmaci e il giorno dopo anche.
Un giorno diagnosticano e il giorno dopo anche.
E pensare che non ho mai bevuto un caffè insieme ad uno psichiatra, è uno dei grandi rimpianti della mia vita.
Chissà se diagnostica anche la tazzina?
Avranno mai applicato un tso a una tazzina da caffè?
Sicuramente sì.
Effettivamente ora che ricordo bene in reparto c’era una tazzina depressa, ci ho anche giocato a carte insieme. Scalaquaranta, tresette, Black Jack, briscola, ramino.
Vinceva sempre lei.
Le tazzine depresse giocano benissimo a carte.
Ma se avessi potuto sfidarla a calcetto balilla sono sicuro che avrei vinto io.
Potrà sembrare irreale giocare a carte con una tazzina da caffè.

Ma a me è accaduto davvero.
Lo giuro.
Parola di maniaco depressivo.





Prevenzione della cronicizzazione.

Ho visto in lontananza un monolite nel deserto.
Poi quando mi sono avvicinato vi ho riconosciuto uno psichiatra.
Uno psichiatra cronicizzato che resiste al sole cocente del giorno e al gelo della notte.
La psichiatria è così coperta e protetta dal sistema da risultare impermeabile alle escursioni termiche. Le condizioni estreme non la toccano, l’ovatta confortante del potere sorregge e foraggia il monolite.
Un monolite in un deserto.
Uno psichiatra al lavoro.
Dio, patria, famiglia e Boia chi molla.

Cronico. Detto di malattia a lento decorso e difficilmente guaribile.
Dinamico. Che è in continua evoluzione.
La psichiatria che parla di prevenzione della cronicizzazione quando ha cronicizzato se stessa in un pensiero avulso dalle dinamiche del continuo divenire.
La vita di una persona è dinamica nel suo continuo divenire, nel suo aderire alle convenzioni, nel rifiutarle, nei suoi eccessi, nelle sue paure, nei suoi sentimenti, nelle sue emozioni.

La psichiatria svolge la funzione della Polaroid.
Click.

E il tuo dinamismo si ferma.
Quando hanno scattato la foto difficilmente ti concederanno un altro fotogramma, ti hanno immortalato.

Devo dire che non sanno usare molto bene il flash, non sono riusciti ad accecarmi.
Comunque sono gentili e premurosi, con la foto che ti consegnano ti permettono di entrare a fare parte di un’ elite. L’elite dei malati di mente.
E’ una specie di club, un Rotary dei disabili psichici, è come se diventassi socio di un circolo di golf.

Peccato che tu sia la pallina e che loro usino le mazze.
Dopo la foto, colpo su colpo, finisce che centrano la buca e così ti trovi nell’oscurità.
Naturalmente possono contare sui loro caddy.

Quando hanno finito il percorso si fermano al bar del circolo e, mentre sorseggiano voluttuosamente un aperitivo, parlano di prevenzione della cronicizzazione.

Tutti siamo soggetti all’imponderabile, in qualsiasi momento la vita di una persona può cambiare drasticamente per le cause più disparate. Ma una persona che esprime disagio di cosa avrà bisogno? Di finire dentro una Polaroid o di avere accanto qualcuno che la aiuti a capire le ragioni che hanno causato il suo disagio?
La prima manifestazione di disagio, la prima foto è un momento pericolosissimo: è lì che comincia il processo di cronicizzazione.
E’ allora che la psichiatria, contraddicendo se stessa, adopera i suoi strumenti per trasformare un momento difficile della tua vita in una condizione patologica.
La diagnosi, i farmaci, lo stigma, tutto concorre ad alimentare una solitudine estrema, tutto concorre a costruire intorno a te una gabbia le cui sbarre, giorno dopo giorno, diventano sempre più spesse.
Una gabbia da cui rischi di non uscire per tutta la tua vita.
Per questo è fondamentale adoperarsi tempestivamente con capacità di analisi, con empatia, con la lettura più esaustiva possibile della complessità delle problematiche che investono una persona che sta male. Se non si interviene subito la psichiatria, aliena dal concetto di conoscenza e solidarietà, farà il suo corso e trasformerà quello che può essere un dolore lacerante, ma superabile, in una condizione di dolore permanente.
Analisi, empatia, conoscenza, sicuramente.

Ma vi è un termine anacronistico che racchiude in sé tutti gli elementi di cui una persona in difficoltà può avere bisogno.
Umanità.

Click. Click. Click.Click. Click.
- C’ è un matto che si agita nella buca diciassette  -.
- Prendi la mazza    -.
- Tso alla quattordici   -.
- Infermiere, la mazza!   -.
- Non questa, idiota!   -.
- Buca!   -.
Povere piccole, miserabili, palline.
C’è anche Tiger Woods  che previene la cronicizzazione con l’elettroshock.

Strana gente questi psichiatri.
Chissà se è più facile mentire agli altri o a se stessi.
Loro riescono a fare entrambe le cose.
Perché se davvero credono a se stessi non possono che essere pazzi.

Meritano una foto, mi sono fatto prestare una Polaroid da un mio amico psicopatico.
- Fermi, sorridete, alzate le mazze, chiudete le buche-.
- Chi pratica l’elettroshock dietro, in piedi-.
- Tu, Diagnosi Facile, sorridi, non fare quella faccia-.
- Ok. Fermi così-.
Click.
Vediamo, vediamo, come è venuta la foto.
Cazzo!
Non ci credo.
La famiglia Addams!





Integrazione sociale delle persone con disagi psichici.

Ho chiamato telefonicamente la responsabile di una cooperativa per cercare lavoro e le ho chiesto se potevo usufruire della legge 381 che li obbliga ad avere tra il personale almeno il trenta per cento di disabili psichici. Per farle capire che sono matto ho dovuto insistere, non voleva crederci.
Con la diagnosi che ho potrei fare il serial killer e nessuno avrebbe niente da dire.
Devo presentarmi con il certificato.
E questo significa accettare il ghetto.
Vengo integrato, ma non nella società civile, in una riserva indiana.

I soldati del generale Custer lavorano bene.
Le punte delle frecce dovranno essere avvelenate.

Una gabbia per la tua mente, una gabbia per la tua vita, una gabbia per il tuo lavoro.

E qualcuno che ti lancia le noccioline.
Slurp!

Reparto psichiatrico, Centro di Igiene Mentale, assistenza sociale, cooperative sociali.
La teoria, semplificando, è questa.
Si chiama autostrada per l’integrazione sociale.
Tu sei quello che procede lentamente nella corsia di emergenza, se sei fortunato arrivi alla cooperativa, o ad un lavoro, ma non è escluso che ti abbandonino in un autogrill.
Loro hanno il telepass, tu devi pagare pedaggio.
E il pedaggio può prendere il nome di disoccupazione e miseria.
Così ti trovi insieme agli ingredienti classici, quelli che vanno bene per tutte le stagioni, ovvero diagnosi, stigma, farmaci, altri ingredienti con cui puoi impastare allegramente la tua vita.
Poi vi è un’altra bizzarria: se sei pazzo non devi assolutamente dire che sei pazzo e questo è scontato dal momento che un pazzo non è socialmente accettato. Il problema è che anche un pazzo ha una sua sfera emozionale, ha necessità di relazioni, di affetto.
Ma tu devi stendere una cortina di silenzio sul tuo vissuto, sulla tua vicenda umana e così ti trovi a vivere un senso di solitudine che, probabilmente, solo chi lo ha vissuto può comprendere.
Una solitudine agghiacciante che ti ferisce giorno dopo giorno, attimo dopo attimo.
E così se non sei pazzo ti offrono tutte le possibilità per diventarlo, perché le piccole crepe che si sono aperte nella tua anima diventino voragini e tu ne venga divorato.

Per fortuna i soldati del generale Custer lavorano bene e hanno creato le riserve.

Ho visitato molte riserve, quanti indiani ho visto colpiti dalla discinesia tardiva.
La perversione del sistema vuole che anche laddove dovrebbe regnare la conoscenza, l’informazione, poiché è di persone in carne ed ossa che si parla, regni l’ignoranza.
Così molti soldati sono ignari quando distribuiscono i farmaci. Troppi soldati non conoscono i danni neurologici delle sostanze che fanno assumere, troppi soldati ignorano l’esistenza della discinesia tardiva.
Un massacro nel silenzio.
Un massacro partorito dall’ignoranza e dall’ignavia del sistema.
Generali consapevoli, soldati inconsapevoli.
Poi magari capita che sia difficile l’inserimento al lavoro di qualche ragazzo in difficoltà.
Parcheggiato in un centro per disabili, considerato fin dal suo arrivo persona incapace di intendere e di volere, devastato quotidianamente con i farmaci.
E poi l’inserimento è difficile.
Che strano...

Ma come finì il generale Custer?

L’integrazione sociale dei disabili psichici sbandierata dalla psichiatria è così blasfema e contraddittoria che ti viene voglia davvero di cominciare a costruire un arco, ti viene voglia di tornare bambino e di prendere un ramo e appuntire una freccia.
Io ho conosciuto molti “disabili psichici”, tutti puntualmente disintegrati.
Io stesso sono un disabile psichico, sono uno dei tanti indiani che si rifiutano di entrare nelle riserve.

Anzi, mi sono proposto di distribuire frecce, così come i soldati distribuiscono farmaci.
A suo tempo mi spararono con una 347 Magnum.

Ricovero, diagnosi, stigma, farmaci, le solite menate……
Più ne scrivo e più i meccanismi mi paiono elementari e ridicoli.
Mi hanno colpito al cuore, ho estratto la pallottola.
Usano proiettili ad espansione, che si devono espandere all’interno della tua mente fino a portarti al punto di non ritorno.
Ma quando cominci ad elaborare l’esperienza vissuta, quando cominci a studiare i vari aspetti della nequizia psichiatrica, quando ti vengono in mente che facce da idioti hanno gli psichiatri che tanto rispettavi quando stavi male e ti tenevano sotto il loro giogo capisci che questo sistema è così sicuro di sé, così protervo, da lasciare aperti dei varchi in cui incunearsi per provare a cambiare le cose.

Ho cominciato a parlare con qualche soldato, non è escluso che domani ci troveremo insieme  a scagliare le frecce.
Ma non ci sono mica solo i soldati, gli indiani e Custer.

Ho parlato con qualche amico, vi sono diversi archi in costruzione.
Intorno a noi vi è anche chi è sensibile e capisce.
Il sistema capitalistico si basa anche sulla frammentazione delle varie sensibilità, qualunque catalizzatore realmente critico viene isolato e colpito.

Un ramo flessibile, una corda, un temperino.
Indiani, archi, frecce.
Punte acuminate ed avvelenate.

I Sioux.

Mi sono ricordato la fine di Custer.
Povero ragazzo.

Come mi dispiace.