Bipolari famosi

Michelangelo Buonarroti

altMichelangiolo nacque il 6 marzo 1475 da Lodovico Buonarroti e da Francesca di Miniato del Sere a Caprese.

Il padre di Michelangiolo, essendo potestà di Chiusi e Caprese, dimorava sei mesi in una sede e sei nell'altra.
Nella prima età il padre suo voleva che attendesse alle lettere, ma egli invece era inclinato all'arte, alla quale si dedicò frequentando la bottega del Ghirlandaio, pittore fiorentino.
Ancor fanciullo, andando a imparare con lo scultore Pietro Torrigiani, da questi, per rivalità, si buscò un pugno che gli deturpò il naso per tutta la vita.
Michelangiolo, nel suo aspetto fisico, fu piuttosto debole e malaticcio, piuttosto brutto, tanto che egli si raffigurò in quel verso : «la faccia mia ha forma di spavento ». Egli stesso affermò di aver rinunziato a prendere moglie per attendere all'arte, che gli fu idolo e monarca, e a chi gli rimproverava tale cosa, egli rispondeva argutamente «Io ho moglie troppa, che è quest'arte, che mi ha fatto sempre tribolare ed i miei figlioli saranno le opere che io lascerò ».
Conosceva a meraviglia la struttura del corpo umano, avendola esaminata e studiata dal vero nei cadaveri dell' infermeria di Santo Spirito a Firenze.
Lavorava indefessamente, e diceva con ragione ad Ascanio Condivi, suo biografo : « Ascanio, per ricco ch' io mi sia stato, sempre son vissuto povero ». Dormiva poco, viveva solitario ; faticava molto, parte della notte attendendo alle sue sculture. Era tutto preso dall' ispirazione dell'arte e dai sacrifici che gl' imponeva, cosicché dimenticava ogni comodità della vita. Si era fatto una specie di elmo di cartone, sul quale fissava una candela, per lavorare con più profitto nelle ore notturne.
Anche quando era travagliato da mille difficoltà, Michelangiolo si occupava della casa, dei fratelli, del nipote ; sempre consigliava i suoi cari in molte lettere e li ammoniva come un buon padre di famiglia.
Con i suoi guadagni acquistò case in Firenze e diversi terreni nel contado fiorentino. Circa i sessanta anni cominciò a sentire i disturbi del male che lo tormentò poi lungo tempo. « Per quello che giudicano i medici, dicono che io ho il male della pietra » così scriveva al suo nipote Leonardo. E  confessava che questo incomodo gli era sopraggiunto a causa di tante fatiche e di tanti disagi, sopportati con eroica costanza. Lo curava Realdo Colombo, medico eccellente.
Ma per curare il suo male aveva più fiducia nelle preghiere che nelle medicine : « ho avuto buon medico, ma più credo alle orazioni che alle medicine ». Si aggiunsero poi sventure familiari; a poca distanza di tempo gli morirono due fratelli, poi il servo fedelissimo. Presentiva vicina la fine, e affermava che non nasceva pensiero in lui in cui non vi fosse scolpita la morte, della quale aveva perfino rappresentata 1a figura nella propria abitazione a Macel de' Corvi presso il Foro Traiano, a Roma. Diceva : « Io sono tanto vecchio che spesso la morte mi tira per la cappa, perchè io vadia seco, e questa mia persona cascherà un dì e sarà spento il lume della vita ». Visse fino a quasi 90 anni. Tre anni prima di morire, una volta si alzò scalzo, e in tale stato per tre ore stette a disegnare, poi svenne, e si credette che fosse morto ; poi ritornò in sè. Tre giorni prima della morte, per cacciare la

ante la grazia santificante e letificante, che viene dall'amore di Dio.

« Voglia sfrenata è il senso, e non amore,
che l'alma uccide. Amor può far perfetti
gli animi qui, ma più perfetti in Cielo ».

E l'amore lo guida a scolpire e a dipingere, con disposizione di animo, in cui vive la grazia, perchè solo allora può venire 1' ispirazione:

« Dal mortale al divin non vanno gli occhi,
che sono infermi, e non ascendon dove
ascender, senza grazia, è pensier vano ».

Oltre le meditazioni, in cui s' immerge il suo intelletto acuto e profondo, la patria e la religione sono i temi che ispirano il suo canto.
È questa la poesia che chiude l'ultimo periodo della sua vita : è il disinganno per la falsità del mondo, è la speranza di rifugiarsi unicamente in Dio.
« Il più grande artista della Rinascita - scrive il Papini - è anche uno dei più grandi cristiani di quell'età. Il suo poeta era Dante, i suoi compagni i giganti, la sua stanza la cupola di S. Pietro non poteva fare a meno di sentire la infinita miseria del peccatore e 1' infinita misericordia di Cristo ».
Infatti, vicino a morte, pensa alle sue colpe
passate:

«Carico di anni e di peccati pieno,
e nel mal uso radicato e forte ».

Allo stesso tempo, però, con tutta la fiducia si
rivolge a Dio.

« L'anima volta a quell'amor divino,
che aperse, a prender noi in croce, le braccia ».