TEC

Elettroshock, tra scienza ed etica

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Il 21 febbraio scorso, nell’ambito della Società italiana di psicopatologia, un gruppo di psichiatri italiani, tra cui Athanasios Koukopoulos e Giovan Battista Cassano, ha fatto girare tra i colleghi una petizione, indirizzata al ministro della salute Livia Turco, per sdoganare l’elettroshock (oggi chiamato con il termine più elegante di terapia elettroconvulsivante o TEC) nei casi di depressione grave refrattaria alla terapia farmacologica. Koukopoulos, che è presidente dell’AITEC (Associazione italiana per la terapia elettroconvulsivante), ha dichiarato quanto segue all’ADN Kronos:

I numeri sono chiari: in Italia esistono solo 11 strutture che eseguono la TEC, 6 appartenenti al Servizio sanitario nazionale e 5 cliniche private convenzionate al Ssn. Nel resto d’Europa il panorama è diverso: in Olanda esistono 35 servizi di Tec, in Belgio 32, in Germania 159, in Svezia 65, in Norvegia 44, in Finlandia 40, in Ungheria 34, in Scozia 27, in Irlanda 16, nel Regno Unito 160. È paradossale che proprio in Italia, dove abbiamo inventato l’elettroshock nel 1938, ci sia questa chiusura.

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All’incontro romano era presente anche Tom Bolwig, psichiatra all’università di Copenhaghen, per raccontare che “in Danimarca vivono 6 milioni di persone eppure vi sono 35 centri specializzati nella TEC, addirittura uno in Groenlandia”. A parte che non vedo perché il fatto che i groenlandesi possano utilizzare in tutta comodità questa terapia (che definirei almeno controversa) debba convincere noi italiani, che abbiamo dato vita, con la legge Basaglia, a uno degli esperiementi terapeutici della malattia mentale più ammirati al mondo, a diffonderne la disponibilità, è la conclusione dell’intervista a Koukopoulos che mi ha particolarmente colpita: “Come sempre in Italia - conclude - ci si ferma di fronte a problemi etici. Speriamo però che lo scenario cambi presto”.

Ma fermiamoci alla letteratura scientifica: su Clinical Evidence, il sistema di revisioni della letteratura medica a cura della British Medical Association (e una delle fonti più autorevoli in materia di indicazioni ai trattamenti), la revisione sulla TEC (pubblicata nel giugno 2007 e basata su studi disponibili nell’aprile 2006) dimostra effettivamente un miglioramento dei sintomi depressivi gravi nel breve lasso di tempo (1-6 settimane) sia rispetto al placebo sia rispetto alla terapia farmacologica, ma segnala anche la scarsa qualità degli studi disponibili, in particolare nella popolazione più anziana. Andiamo avanti: già nel 2003 il British Medical Journal, in un editoriale che dava conto delle prime linee guida in materia, segnalava gli stessi limiti, invitava i servizi psichiatrici britannici (tra i più attivi nel praticare la TEC in Europa) ad adeguarsi alle indicazioni e denunciava il rischio di un uso improprio.

Arriviamo all’ultima revisione, comparsa nel novembre scorso sul New England Journal of Medicine (purtroppo accessibile solo su abbonamento): in sostanza si conferma l’ultilità della TEC in alcuni casi molto selezionati, e si segnala però quanto l’efficacia dipenda dalla tecnica utilizzata, con tassi di remissione dei sintomi assai variabili (da 20 all’80 per cento, in base ai diversi studi). Negli USA, dice la rivista, il protocollo standard prevede tre sedute a settimana per 6-12 settimane. Gli effetti collaterali comprendono amnesia anterograda (di breve durata) e retrograda, talvolta con buchi di memoria del passato che si estendono a mesi o anni prima del trattamento. L’analisi dice testualmente: “Benché l’amnesia retrograda spesso migliori nei mesi dopo l’elettroshock, in molti pazienti il recupero è incompleto, con amnesie prolungate che riguardano eventi occorsi nel periodo del trattamento”. Tra le aree di incertezza, anche l’utilità di questa cura nel prevenire le ricadute di gravi forme depressive e, soprattutto, l’accettabilità individuale e sociale e il conseguente stigma permanente. Per questo, sottolineano gli americani, la scelta di procedere con l’elettroshock deve essere ampiamente discussa col paziente e con i familiari.

Se mi sono addentrata nelle questioni più prettamente scientifiche, è perché penso che non bisogna mai avere opinioni preconcette su nulla: questo è quanto la letteratura medica può oggi fornire a sostegno di una pratica medica che ha lasciato, in passato, segni indelebili nella vita di molte persone e che ha rappresentato incontestabilmente, insieme alla lobotomia, uno dei punti più bassi della pratica psichiatrica intesa come strumento di controllo della società sulla morale e sulla “normalità”. Che oggi non la si esegua più nello stesso modo, e forse nemmeno con gli stessi intenti, è evidente: ma che una società scientifica si proponga di diffonderla ulteriormente, malgrado le perplessità ancora vive dal punto di vista scientifico, da quello etico e sociale - e che tutto ciò accada, guarda caso, nel trentennale della riforma Basaglia che ha ridato (laddove applicata pienamente) ai malati psichiatrici una dignità di pazienti come tutti gli altri - non mi pare un caso.

 

Tratto da: Le Science-Mente e Psiche