Pensieri liberi

Impiccio

E' opportuno sperimentare la caduta. Per non essere sublimati dai richiami del vuoto e dileguarsi nella sua penombra rarefatta, per non evaporare al calore delle sue persuasioni. Precipitare o planare, non importa, è solo una questione di tempo. Ciò che conta è sperare di assimilare ogni crepa, ogni irregolarità delle pareti che circondano il vuoto, conoscere il percorso della discesa. Conquistare il proprio pozzo vuoto equivale a rendere meno travagliata la caduta. Così mi pare. E mi pare anche che le mie discese imprevedibili dimostrino la presunzione di conoscenza della mia fossa, della quale in realtà ravviso solo il fondo. Per tale ragione, suppongo che essa abbia pareti levigate e muscose, e per quanto io mi consumi le unghie per tentare una risalita, mi ritrovo d'improvviso adagiata sul fondo, senza memoria di nulla. E non trovo di meglio che incistarmi e concentrarmi lentamente in un puntino, per ridurre al minimo la superficie esposta al dolore. E nel divenire sempre più piccola, tanto più grande appare il mio essere sola, in un perenne gioco di proporzioni inverse, che finisce con il contrapporre una molecola di vita ad una gigantesca solitudine, che si espande incorporando a sè anche l'eco di un respiro. A volte penso di non avere altro problema se non quello di percepire l'essenzialità del nulla e dunque di non essere capace di trasgredire a questa terribile logica. Il mio male trae linfa grezza dall'inesauribile sorgente di vuoto esistenziale, dalla mistificazione della mente e della realtà.
Una sorta di trappola a forma di cono rovesciato, impossibile da risalire, e nella quale un corto circuito costringe chi vi cade dentro alla peggiore forma di mortificazione esistente: costruire emozione fasulle su pilastri di ignoranza, nel tentativo di congiungere le sponde dell'inutilità e dell'indifferenza.

Esisto, come esistono le anomalie gravitazionali, o i mulinelli d'acqua. In ogni caso, come una perturbazione di un sistema ordinato. Vivo con pudico sdegno i miei squilibri, e li diluisco nel tempo.

Ieri ho dato del "chiromante" al mio dottore, ed io mi sono sentita tradita ed offesa. Tutto per rendere omaggio al consueto festival del paradosso. Io non so a cosa mi servirà tutto questo. L'ambìto successo è sproporzionato rispetto all'energia impiegata per ottenerlo, e poi non suscita il mio interesse. Non troverò mai l'uscita del labirinto, se non a mio modo. Ho voglia di arrotolarmi come una felce neonata, o come la pastorale di un vescovo. E chissà che significato oscuro avrà mai questa associazione mentale, secondo il mio dottore. Sono stanca di giocare alle ombre cinesi. Non c'è nulla da spiegare, nulla da modificare, nulla da interpretare. E' tutto talmente semplice da essere persino stupido, è ciò che è, tutto qui.
giovedì, 13 gennaio 2005

Commenti   

0 #1 carmen alaimo 2013-06-08 17:45
troppo belisiima assai 8)

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