Articoli

L'uomo di pietra

L'uomo di pietra
di Lucia Imperatore

 Col dottor P., uno psicoterapeuta di grande esperienza, io e altre giovani colleghe andiamo a fare una riunione col direttore di in un centro residenziale per psicotici gravi, molti cronici e reduci da decenni di aberrante soggiorno in manicomio.

 Le infermiere ci accolgono al nostro arrivo e si prendono la briga di portarci in visita al centro, indicandoci i luoghi e i personaggi del posto come se facessimo una gita turistica. I pazienti stanno pranzando. Siamo una novità e ci salutano rumorosamente, ognuno a suo modo: qualcuno urla, qualcuno ride a crepapelle, altri si spaventano, altri ci ignorano, qualcuno si sbraccia e tutti ripetono continuamente un allegro buongiorno.

 

 

alt

Fermo ai piedi delle scale c'è un ragazzo sulla trentina. Ci dicono che si chiama Giuseppe. E' piegato sulle ginocchia e la schiena è flessa profondamente in avanti sulle gambe, mentre il naso tocca quasi le ginocchia. E' completamente immobile.

Ci guardiamo annuendo, il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Psichiatrici, insomma la Bibbia degli addetti ai lavori) ha un nome preciso per questo disturbo, dicesi schizofrenia catatonica. In questo tipo di disturbo il paziente rimane fermo per ore in posture assurde, i suoi arti diventano come di cera e puoi metterglieli nelle posizioni più disparate e scomode, stai sicuro che le manterrà. Se sta a letto e gli alzi la testa dal cuscino, può lasciarla sospesa a mezz'aria per diversi minuti. E' immobile quasi per tutto il giorno insomma, tranne 4 o 5 volte all'anno,in cui in preda al furor catatonico distrugge tutto quello che ha a tiro per poi tornarsene nella sua posizione statuaria. Non parla,non ti guarda,non si muove,sembra non avere nessun contatto con l'esterno.

 

E' paralizzato dal terrore che ha per la vita.

Le persone gli passano accanto senza più curarsene, ormai fa parte dell'arredamento. Dopo un'ora è ancora lì e anche dopo due e dopo tre. Tutti siamo convinti che non ci sia nessuna possibilità di comunicare con lui.

Il dottor P. prende un foglio e ci scrive sopra "ciao Giuseppe".

 Poi lo poggia delicatamente ai suoi piedi. Noi guardiamo la scena con aria sarcastica. Cosa spera di ottenere con uno così? E' un muro, perdita di tempo, dai che abbiamo da fare. Inaspettatamente, Giuseppe sembra scuotersi, sgrana gli occhi, osserva un attimo il foglio e poi improvvisamente fa un bel movimento rotatorio col braccio annuendo con la testa. Siamo attonite. Sarà un caso?

Il dottore prende un altro foglio. "Hai caldo?" scrive stavolta, visto che indossa una felpa troppo pesante per quella stagione. Stavolta Giuseppe rimane immobile. Siamo deluse, ecco era solo una coincidenza, il presuntuoso abbaglio di chi spera di resuscitare i morti. Il dottor P. non si perde di coraggio. "Ma che stupido!" dice ad alta voce "come fai a rispondermi Giuseppe?".

Adesso prende due fogli. Su uno scrive un grande "Sì" e sull'altro un bel "No", e poi glieli mette davanti. Lui muove tutto il corpo verso il no, disegnando un bel semicerchio. Il dottore sorride, poi lancia l'ultima chicca: "Mi raccomando Giuseppe, noi andiamo a fare una riunione, tu non ti muovere da qui per nessun motivo!". Giuseppe si alza , prende armi e bagagli e se ne va.
Noi restiamo lì, più catatoniche di Giuseppe.


Morale della favola: Non c'è nessuno al mondo con cui non esista una strada per comunicare. Basta trovare il modo.